Economia

Diversità nelle aziende: le politiche per le donne ci sono, ma non funzionano

Il 97% delle imprese italiane ha misure per le donne, ma solo il 29% ha benefici

Aziende italiane: le politiche per le donne ci sono, ma non funzionano

L’impegno c’è, i risultati no. Nonostante circa il 98% delle aziende nel mondo abbia investito in qualche misura per l’inclusione e la promozione della diversità (con misure apposite per donne, persone di colore e Lgbtq), solo un quarto delle persone interessate (il 28%) ne ha beneficiato. Una situazione evidente anche in Italia, dove il 97% delle imprese ha adottato politiche a favore delle donne, ma quelle che ne hanno beneficiato sono appena il 29%.

È quanto risulta dal report realizzato da Boston Consulting Group intitolato “Fixing The Flawed Approach To Diversity”, che ha intervistato 16.500 dipendenti di aziende in 14 Paesi, tra cui l’Italia (i risultati presentati riflettono, per i soli dati sulla diversità etnica, la realtà di Usa, Uk e Brasile), individuando lacune e ritardi nell’implementazione delle misure antidiscriminatorie aziendali.

"La strada è certamente ancora lunga" - commenta Laura Villani, Partner and Managing Director di Boston Consulting Group e responsabile del progetto Women@BCG per Italia, Grecia e Turchia. "Alla consapevolezza ormai raggiunta a livello globale su questi temi, non segue ancora la capacità di creare e mettere in atto programmi concreti e strutturati. Iniziative sporadiche, non inserite in piani di ampio respiro sono sintomo di scarso impegno 'reale' della leadership e rischiano, come dimostrano i risultati dello studio, di non essere efficaci".

"Guardando alla nostra realtà" – continua Villani – "l'impegno di BCG è forte a livello globale e italiano. Ad esempio in tema di diversity 'al femminile', abbiamo progetti specifici a supporto della crescita personale e professionale e di un corretto equilibrio tra le due. Da lì nascono, ad esempio, iniziative per la maternità o legate alla salute: tra le altre, l'8 marzo offriremo, in collaborazione con LILT Milano (Lega Italiana per la Lotta ai Tumori) un momento di formazione e di prevenzione, con la possibilità per tutte le colleghe di BCG di effettuare una visita senologica gratuita nella nostra sede di Milano”.

In materia di politiche Lgbtq, se il 96% delle aziende si è attivata con qualche iniziativa, ne ha percepito gli effetti solo il 51% delle persone interessate.

Il problema, come risulta dalle interviste effettuate, è strutturale. I vertici delle aziende sono dominati da un gruppo omogeneo di uomini bianchi (o appartenenti al gruppo dominante, a seconda dei Paesi), over 45 ed eterosessuali. Tra i leader delle aziende di Fortune 500 solo 24 sono donne (meno del 5%), tre di colore e tre omosessuali (dichiarati). Le conseguenze sono intuibili: i dirigenti, dal loro punto di vista, sottostimano gli ostacoli incontrati da questi dipendenti Ad esempio, tra le varie fasi del ciclo lavorativo (assunzione, mantenimento del posto, avanzamento, impegno dei leader) gli uomini bianchi over-45 (più o meno il 30% delle risposte) vedono difficoltà solo nella prima, cioè il recruitment. Una media più bassa rispetto all’opinione delle donne (37%), delle persone di colore (35%) e di quelle Lgbtq (37%). Non solo: il divario aumenta di 10/15 punti percentuali nelle altre voci. In particolare la conservazione del posto di lavoro (per le donne al 38%), l’avanzamento (per le donne ancora 38%, ma per le persone di colore 37%) e il commitment aziendale nella questione (qui il divario maggiore è con i gruppi Lgbtq).

L’alta esposizione mediatica delle problematiche del lavoro femminile ha portato a una diffusa sensibilità sulla questione (alla domanda “ci sono ostacoli per le donne” la maggioranza dei dipendenti e le sole donne hanno dato risposto simili, intorno al 36%). Anche in Italia i due gender sono allineati, con al massimo un punto percentuale di differenza in tutte le voci viste prima e in cui potrebbero esserci ostacoli. A livello globale, lo stesso non vale per i lavoratori di colore (qui la differenza è di nove punti percentuali) e per i membri delle comunità Lgbtq (qui arriva fino a 11 punti). L'Italia riflette questo ampliamento del delta nella seconda categoria, segno che la sensibilità non è ancora diffusa: ad esempio, il 39% degli intervistati Lgbtq ritiene ci siano ostacoli nell'avanzamento della propria carriera, problema percepito solo dal 28% degli eterosessuali. Stessa differenza nella voce relativa all'impegno della leadership (36% vs 25%).

Insomma: nonostante l’impegno profuso, c’è ancora molto da fare. Ma cosa, con esattezza?

È ciò cui risponde il report. Delle 31 soluzioni per l’inclusione proposte, distingue misure “basilari” (Back-to-Basics), considerate utili dalla totalità dei lavoratori, comprese le persone interessate, e altre di comprovata efficacia specifiche per ciascun gruppo. In più scova le “Hidden Gems”, iniziative trascurate dalla maggioranza dei dipendenti ma considerate molto efficaci dagli esponenti delle categorie minoritarie.

Tra le misure basic c’è il rafforzamento delle policy antidiscriminatorie, spesso viste dalle aziende alla stregua di un dovere burocratico. L’inclusione invece passa di qui: prima, attraverso l’istituzione di corsi di formazione contro i “pregiudizi inconsci”, cioè i bias che condizionano a tutti i livelli (anche in modo indesiderato) i comportamenti e le scelte del personale. Poi con dibattiti informali, guidati da facilitatori, con cui i dipendenti prendono atto – e contrastano – i casi di pregiudizio quotidiani. La questione dovrà riguardare in modo principale il processo di valutazione e di promozione dei dipendenti, che dovrà seguire parametri chiari e il meno condizionabili possibile.

Ogni gruppo, poi, individua misure specifiche. Dalle donne, che mirano in particolare a conciliare lavoro e famiglia senza danni alla carriera, viene chiesta una gestione più elastica dell’orario di lavoro (part-time, da remoto, turni modificabili). È incoraggiante (una Hidden Gem) anche una maggiore presenza femminile in ruoli apicali – segno che fare carriera è possibile – insieme ai congedi parentali (la terza preferenza) e le strutture per la cura dei figli, anche interne (11esima preferenza). Leggermente diverse le preferenze delle donne italiane: significativo che al primo posto ci sia la richiesta di un'esperienza quotidiana scevra da pregiudizi in attività di staffing o nella partecipazione alle riunioni (solo 8° nel ranking globale).

Le persone di colore insistono sul “blind screening”, modalità di selezione che cancella dai cv informazioni quali nome, genere, età e istruzione per eliminare ogni possibile bias. Auspicabile, secondo loro, è istituire una sponsorship ufficiale con cui il superiore sostiene il dipendente giudicato valido, aumentando le sue possibilità di sviluppo professionale e di avanzamento di carriera. Infine, gli intervistati Lgbtq chiedono un coinvolgimento sostanziale dell’azienda nelle loro iniziative (es: il Pride), la realizzazione infrastrutture adeguate (i bagni gender free) e tolleranza zero verso l’omofobia. In Italia, la categoria apprezzerebbe una presenza maggiore di role model in grado di rappresentare una leadership non usuale, così come l'adozione del "blind screening" in fase di selezione.

Insomma, c’è molto da fare. L’azienda, per dare segnali credibili, dovrà riorganizzare le politiche di inclusione coinvolgendo rappresentanti delle minoranze interessate. L’aumento della diversity aziendale sarà un parametro della performance aziendale, monitorata nel tempo per efficacia ed effetti. Solo così si ridurranno gli ostacoli all’inclusione ancora presenti.