Economia

Salari bassi in Italia, l'affondo di Cazzola: "Colpa dei sindacati: si lamentano con il governo ma non sanno negoziare"

L'ex sindacalista e parlamentare critica su Affari la struttura della contrattazione collettiva in Italia, ritenendola inadeguata a cogliere gli incrementi di produttività

di Rosa Nasti

Cazzola: "Il sistema contrattuale non riesce a trasformare la produttività in salari più alti"

"I sindacati dovrebbero chiedersi: 'Io che mestiere faccio?' Il mio mestiere è fare i contratti e negoziare i salari." Giuliano Cazzola, economista, ex sindacalista e parlamentare, non usa giri di parole e commenta così, su Affaritaliani.it, l'ultimo dato choc: tra il 2008 e oggi, l'Italia ha registrato il peggior calo del potere d'acquisto dei salari tra i Paesi del G20, con una perdita dell’8,7%.

Non è la prima volta che il nostro Paese finisce in fondo alle classifiche quando si parla di lavoro, siamo abituati agli ultimi posti, sì, ma stavolta il dato è ancora più amaro. E seppur ultimamente l'occupazione è cresciuta, la ripresa non è bastata a compensare l’inflazione del 2022 e 2023, che ha eroso i redditi ben oltre la media internazionale. L’ultimo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro lo mette nero su bianco, ma la vera domanda è: perché i salari reali in Italia continuano a scendere?

"Il rapporto dell'OIL individua due cause principali dietro il crollo delle retribuzioni in Italia. La prima è l'inflazione, che ha colpito soprattutto i salari più bassi", spiega l'ex sindacalista. "Il problema è che in Italia non esiste più un meccanismo di recupero automatico dell’inflazione: siamo agganciati all’IPCA, un indice che esclude dal calcolo dell’inflazione i prodotti energetici, cioè proprio quei beni che negli ultimi anni hanno inciso maggiormente sui bilanci delle famiglie. Abbiamo quindi affidato il riferimento salariale a un parametro che non tiene conto della cosiddetta 'inflazione importata', rendendo di fatto inefficace la tutela del potere d’acquisto."

E aggiunge: "Un altro problema è che i contratti nazionali di lavoro si rinnovano con tempistiche troppo lunghe, sia perché hanno una validità pluriennale, sia perché il processo di rinnovo subisce ritardi in ogni fase: dalla preparazione delle piattaforme, alla negoziazione, fino alla firma degli accordi." Insomma secondo Cazzola il contratto nazionale di lavoro, per sua natura, fatica a intercettare le impennate inflazionistiche. 

Infatti spiega: "Quando l’inflazione accelera, il sistema contrattuale non riesce a recepire tempestivamente gli aumenti necessari. Ma l'OIL sottolinea anche che la nostra contrattazione collettiva è inadeguata, perché non riesce a cogliere i miglioramenti della produttività. Eppure, negli ultimi due anni, la produttività in Italia è cresciuta più dei salari, il che avrebbe dovuto aprire margini per aumentare le retribuzioni. Il problema è che il nostro sistema contrattuale, per vari motivi, non è in grado di tradurre questa crescita in un corrispondente incremento salariale."

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Ma perchè? "Questo avviene perché il tessuto produttivo italiano è frammentato in una miriade di piccole imprese, dove è difficile sviluppare una contrattazione collettiva efficace", osserva l'esperto. "Inoltre, siamo ancora molto indietro nella diffusione della contrattazione aziendale, che permetterebbe di legare i salari ai risultati effettivi delle imprese."

Tuttavia Cazzola individua una responsabilità precisa nella stagnazione salariale: i sindacati. "Negli ultimi anni la produttività è cresciuta, seppur in modo insufficiente, ma le organizzazioni sindacali non sono state capaci di coglierla attraverso la contrattazione collettiva. Dovrebbero guardarsi allo specchio e chiedersi perché i salari sono così bassi."

Prosegue: "Certo, si possono fare riforme fiscali, e alcune sono state attuate: abbiamo fiscalizzato la contribuzione previdenziale per i salari più bassi. Ma non basta. Serve un sistema contrattuale adeguato. Per questo i sindacati dovrebbero chiedersi: 'Qual è il nostro mestiere?' Il loro ruolo è negoziare i salari nei contratti. Se non sono in grado di farlo, è inutile lamentarsi con il governo. Il problema è che i sindacati sono divisi: alcuni accettano gli accordi così come sono, altri, come la CGIL, li contestano perché ritengono gli aumenti troppo modesti. Ma alla fine nulla si sblocca. E così, anche le risorse stanziate dal governo – per quanto insufficienti – restano inutilizzate."

Tuttavia, Cazzola riconosce segnali positivi: "C'è comunque una ripresa." Spiega: "I dati mostrano un miglioramento salariale. L’impennata dell’inflazione è arrivata con la guerra e il post-Covid, quando i contratti erano già stati firmati e l’IPCA non era in grado di intercettarla. Ora, con il rinnovo dei contratti, qualcosa si sta muovendo. Ma serve che ognuno faccia il proprio mestiere e che si vadano a recuperare le risorse dove si trovano. Le imprese hanno registrato profitti, ma nessuno è stato capace di redistribuirli ai lavoratori."