Economia

Tridico: "Senza il governo redditi giù del 55%: avanti con il salario minimo"

Per il numero uno dell'istituto pensionistico il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese

Tridico: il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese

C'è una "quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza. Per la precisione il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro/mese, considerando anche i part-time". Lo ha detto il presidente Inps, Pasquale Tridico, presentando la XXI Relazione dell'Istituto e spiegando che "nel 2021 si registrano più persone sul mercato del lavoro rispetto al 2020 (25.683 mila persone), dato positivo sotto molti punti di vista". E ha aggiunto. "Ma molti dei nuovi lavoratori immessi sono impiegati per un numero ridotto di ore e percepiscono retribuzioni che non permettono ai singoli di vivere dignitosamente. I lavoratori continuativamente occupati negli ultimi 15 anni hanno salvaguardato la loro posizione: tra questi l’85% ha sperimentato una crescita reddituale nel periodo in esame. Ma guardando alla generalità degli occupati ha concluso Tridico - la metà più povera ha perso quote di reddito tra il 2005 e 2020".

"La diseguaglianza dei redditi è pervasiva, serve salario minimo"

"La diseguaglianza nei redditi, oltre che essere aumentata, è pervasiva e attraversa tutte le dimensioni di genere, di età, di cittadinanza, di territorio. Essa origina anche dal moltiplicarsi delle forme contrattuali, oggi pari a ben 1.011: troppe e spesso non rappresentative" prosegue Tridico. Quello che serve dunque, "idealmente, un è riordino della disciplina contrattuale legata alla rappresentatività dei soggetti contraenti, affiancata ad un minimo salariale legale" che produrrebbe un "contenimento delle diseguaglianze osservate, oltre che facilitare l’esercizio della vigilanza documentale da parte di Inps sul rispetto dei minimi contributivi".

D'altra parte elenca ancora Tridico, sono solo 27 i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che coprono ciascuno oltre 100.000 dipendenti e concentrano il 78% dei dipendenti privati (10,2 milioni di lavoratori); quelli che interessano più di 10.000 dipendenti ciascuno sono 95 e ad essi fa riferimento il 96% dei dipendenti delle imprese private extra-agricole (12,5 milioni di lavoratori). "La retribuzione media giornaliera per i dipendenti full-time è pari a 98 euro lordi, ma all’interno di questo ampio perimetro si registrano variazioni troppo marcate", spiega ancora.

Il problema della diseguaglianza è anche legato alla dispersione degli orari di lavoro. In Italia il fenomeno della povertà lavorativa è più marcato che negli altri Stati europei. Secondo Eurostat, nel 2019, l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La percentuale di lavoratori sotto la soglia di 9 euro lordi l’ora è 28%, ovvero oltre 4,3 milioni,e quasi un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro/mese, considerando anche i part-time". 

"A ciò si aggiunge il problema della instabilità lavorativa, eccessiva flessibilità che diventa spesso precarietà o insufficienza di ore lavorate per mese. La percentuale di part-time è al 46% tra le donne, il dato più alto nella UE, contro il 18% tra gli uomini, e una parte prevalente di questo part-time è considerato involontario. Cresciuto anche il lavoro a termine che oggi ha raggiunto il picco storico di oltre 4,2 milioni di lavoratori ovvero il 22,2%, al netto di agricoli e domestici.

"Senza lo Stato redditi giù di un ulteriore 55%"

L'intervento dello Stato contro il Covid è stato "universalistico e tempestivo" e le misure messe a terra "hanno in larghissima parte funzionato" evitando che "evitando che l’impatto sulla riduzione dei redditi a causa della crisi pandemica fosse del 55% maggiore" ha spiegato il numero uno dell'Inps.

"Ha dimostrato tutta la sua importanza nella distribuzione del rischio, nella difesa della coesione sociale e nella protezione dei più deboli secondo due principi di fondo: il principio universalistico, secondo il quale tutte le diverse categorie di cittadini dovevano ricevere sostegno dallo Stato, e il principio della tempestività, secondo il quale la risposta andava attivata in tempi brevissimi e modalità semplificate", spiega.

La crisi pandemica dunque, "appare pressoché riassorbita" in termini di partecipazione al mercato del lavoro, anche se "non ancora in termini di volume di ore lavorate, con conseguenze sfavorevoli sul piano delle retribuzioni complessive". Una esperienza che, spiega, "deve spingere a ripensare il contratto sociale che ha regolato finora la partecipazione alla vita economica degli italiani".