Economia
Tercas e le '4 banche' sul lastrico. Quando l'Europa è gretta e retriva
Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche
C’è un’Europa solidale, bella, coinvolgente. Quella che lotta per sconfiggere il mostro del Coronavirus e che vara aiuti che non si vedevano (almeno) dal Piano Marshall per aiutare una ripresa in ottica green. E poi c’è un’Europa gretta, materialista, retriva e poco incline al compromesso che osteggia operazioni di buon senso e poi si ritrova sbugiardata dalla Corte di Giustizia Ue. È quanto è avvenuto con Tercas e le altre quattro banche (Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche) cui venne negato il diritto di accedere al fondo interbancario – nato appositamente per evitare di gravare sulle spalle dei correntisti – e che invece si è tramutato in un esperimento di macelleria bancaria costata 5,5 miliardi complessivamente, di cui almeno 329 milioni ai risparmiatori dei quattro istituti di credito falliti. E vai a spiegare adesso che le due vicende (opposte nell’esito ma analoghe nel merito) erano assolutamente ingiustificate. Ma che cosa accadde?
Siamo nel 2013 e la Banca Popolare di Bari chiede di poter sottoscrivere un aumento di capitale per entrare in Tercas che dall’anno precedente era in amministrazione controllata a causa di irregolarità riscontrate da Bankitalia. Il vincolo posto dalla Popolare di Bari era che il deficit patrimoniale di Tercas venisse coperto dal Fondo Interbancario. Cosa che accadde. Ma la Commissione Ue, il 23 dicembre del 2015, stabilì che questa azione era un aiuto di stato bello e buono e impose a Tercas di restituire all’Italia 295, 14 milioni.
Non solo: questo intervento fece giurisprudenza tanto che le quattro banche fallite non poterono accedere direttamente a un supporto statale (come avviene, è avvenuto e avverrà in altri paesi europei) e dovette intraprendere la via più complessa di un bail-in che costò comunque, complessivamente, oltre 3,6 miliardi. Un’opera di salvataggio guidata dall’ex direttore generale di Unicredit Roberto Nicastro – che chiese anche di far costituire gli istituti di credito come parte civile nel processo contro gli ex amministratori – e che si concluse comunque con un problema non indifferente per tutti gli obbligazionisti.
Ora, a distanza di anni, ci si domanda come mai tanto pervicace accanimento da parte della Commissione Ue nei confronti dell’Italia. Oltretutto, preoccupa l’idea che adesso come allora a decidere se si tratti di aiuto di stato o meno c’è quella Margrethe Vestager che dovrà pronunciarsi su due dossier enormi: Alitalia e, soprattutto, la rete unica.
Ora, se Alitalia è ormai avviato verso l’ennesimo intervento pubblico – seppur con modalità diverse per salvaguardare la concorrenza, magari ricorrendo a Poste e Leonardo – che cosa succederà con la rete unica? Posto che tutta la concorrenza del caso deve essere garantita agli operatori, che devono avere la certezza di poter giocare con regole pari, davvero c’è il rischio di tornare a molti player che operano in giro per l’Italia? Il Recovery Plan parla chiaro: serve puntare – e molto – sul digitale. Davvero vogliamo farci mettere i bastoni fra le ruote da un’Europa un po’ miope?