Economia
Tod’s vola in borsa, ma il bilancio piange. Un brand in cerca d'identità
Qual è il male oscuro del marchio guidato da Diego Dalla Valle? Il patron "sconta" i casi Rcs e Fiorentina. Poi la crisi Covid ma non solo...
Di Marco Scotti
Sono giornate frenetiche sui listini europei e a Piazza Affari vedere un titolo che registra balzi anche dell’8% non fa più grande notizia. È toccato a Leonardo, è toccato a StMicroelectronics, tocca anche a Tod’s. Perché decolla? Perché la presentazione dei conti dei nove mesi è stata migliore delle attese degli analisti. Ma intendiamoci: non si tratta di risultati buoni, ma al più “meno peggio” di quanto preventivato. Non si vuole fare facile ironia: il Covid ha ovviamente frenato in modo sostanziale tutte o quasi le aziende, e il brand della famiglia Della Valle non fa eccezione.
Nei primi nove mesi di quest’anno il fatturato consolidato di Tod’s ammonta a 452 milioni, in calo del 33,2% rispetto allo stesso lasso temporale del 2019. Se si analizza il solo terzo trimestre (quello per cui gli investitori hanno premiato in borsa il titolo) i ricavi sono in calo del 12,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Naturale una flessione anche negli ultimi tre mesi, anche se l’89% dei negozi era aperto regolarmente, il 9% a orario limitato e solo il 2% era chiuso. E guardando ai mercati, mentre la Cina cresce a doppia cifra, Europa e Stati Uniti rimangono fermi al palo.
Dunque, naturale che vi siano delle difficoltà, ma quello che preme analizzare è che altri colossi del lusso hanno avuto performance diverse. Prada, quotata alla borsa di Hong Kong, ha una quotazione superiore a quella del pre-pandemia. Dior, Louis Vuitton, Hermès e Bottega Veneta hanno ottenuto nel terzo trimestre una performance migliore di quella dello stesso periodo dell’anno scorso, con Bottega Veneta che ha addirittura registrato un +20%.
E dunque, appellarsi soltanto al Covid appare un po’ riduttivo. Il problema è che Tod’s è al terzo bilancio di fila (dando per scontato che quello di quest’anno sarà negativo) in calo rispetto al precedente. Dunque il 2018 si è chiuso con un fatturato di 940,4 milioni, in flessione del 2,4% rispetto all’anno precedente. Ma soprattutto, un rosso di sei milioni nei primi sei mesi dell’anno a fronte di un utile pari a 33,6 milioni. I conti non sono piaciuti tanto che ad agosto dello scorso anno Caisse de Depot et Placement du Quebec ha ridotto la sua partecipazione nella società al 2,202% dal 5,155% detenuto da maggio 2018. Dal 2015, quando si superò il miliardo di revenue, Tod’s non è più riuscita a replicare quella performance.
Anche l’esercizio dello scorso anno è stato in calo rispetto ai 12 mesi precedenti, con i ricavi che si sono fermati a 916 milioni, in flessione del 2,6%. Il titolo, che oggi viaggia intorno ai 22,5 euro, a novembre dello scorso anno era intorno ai 40. Negli ultimi sei mesi il valore è calato del 13,3% con un minimo di 17,8 euro per azione il 30 ottobre, quando soltanto a gennaio ne valeva 42,10.
Ma allora qual è il male oscuro di Tod’s? Negli ultimi anni si sono affermati (conti alla mano ma non solo) o grandi brand come Hermés – che non conosce crisi perché si rivolge a un pubblico che difficilmente vede ridurre i propri portafogli – o marchi che hanno operato un completo rilancio. Gucci su tutti, che lo scorso anno valeva oltre il 60% degli utili di tutto il gruppo Kering. Una gallina dalle uova d’oro, appunto. Che si è trasformato in icona, abbracciando un pubblico più giovane, mass market e “stiloso”. Tod’s è forse rimasto prigioniero di un’immagine un po’ meno identificabile.
Rimane poi da analizzare la figura di Diego Della Valle, che in tre anni ha subito due colpi duri alla sua immagine. Il primo riguarda la “sconfitta” nella partita per il controllo di Rcs, dove ha dovuto cedere il passo a Urbano Cairo. Oggi il manager marchigiano ha una quota del 7,6% del capitale di Rizzoli, terzo azionista dopo il patron del Toro e Mediobanca. E ha dovuto anche cedere sulla Fiorentina, creatura amatissima su cui aveva investito ingenti capitali per riportarla dagli abissi della C2 dove era finita dopo il fallimento della società allora di proprietà della famiglia Cecchi Gori. Eppure, anche in questo caso dopo quasi 17 anni al timone della “viola” Della Valle ha dovuto lasciare a Rocco Comisso. Il motivo? Non essere riuscito a convincere le autorità locali dell’importanza dello stadio, l’unico modo che consente alle società di calcio di marginalizzare per davvero.
Nel frattempo DVD (come lo chiamavano i tifosi della Fiorentina) prosegue spedito con il suo primo amore: Tod’s. Ad agosto l’imprenditore, smentendo le voci che lo volevano pronto a cedere il capitale – magari a una grande holding francese e non è difficile immaginare i nomi dei due papabili – ha invece rastrellato altre azioni, superando anche la soglia dell’80%. Ma serve trovare una nuova rotta per un’azienda che ha un po’ il fiato corto. E il Covid non c’entra.