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Economia
Turchia, lo spettro del Fmi. Sui mercati, l'autunno caldo del rating italiano

La Turchia è entrata nel mirino dei mercati internazionali. La lira turca e' considerata la valuta nazionale con il rendimento peggiore del mondo, avendo perso oltre il 40% dall'inizio dell'anno. Venerdi' scorso ha lasciato sul terreno quasi il 20% ed e' scesa a 6,5 sul dollaro, un livello impensabile 5 anni fa quando era quota 2 sul biglietto verde. Lunedi' la Turchia sara' ancora sotto il tiro degli investitori internazionali e rischia un nuovo 'bagno di sangue'.

erdogan ape
 

La scorsa settimana, l'attenzione si e' concentrata sulla disputa tra Ankara e gli Usa, dopo le sanzioni disposte da Washington e legate alla detenzione da parte della Turchia di un pastore evangelico della Carolina del Nord. I colloqui con il dipartimento di stato americano questa settimana non sono riusciti a risolvere l'impasse. E la disputa potrebbe mettere in discussione l'alleanza della Turchia alla Nato, di cui il Paese fa parte da 60 anni. Tuttavia dietro la disputa politica, c'e' una crisi economica, che non e' facile da spiegare. La Turchia non ha problemi di crescita del Pil, anzi l'economia turca e' surriscaldata, cioe' cresce troppo, anche se in modo squilibrato.

Trump
 

Ankara in questi anni ha potuto giovarsi di uno straordinario afflusso di fondi stranieri, spesso a breve termine, incoraggiati dagli alti rendimenti turchi e dalla politica monetaria ultra-accomodante degli Stati Uniti e dell'Europa, che ora pero' ha concluso il suo ciclo. Questo significa che per la Turchia sara' sempre piu' difficile ottenere i fondi di cui ha bisogno e che, secondo un rapporto di ABN Amro, sono pari a circa 218 miliardi di dollari l'anno, una cifra che include i fondi necessari per mantenere il debito in valuta estera delle societa' turche e il deficit di conto corrente del Paese.

Borsa Affari LP (3)
 

Per James Binny, responsabile globale delle valute di  State Street Global Advisors, la debolezza della lira ora di affossare il sistema bancario del Paese e il governo e le   autorità finanziarie dovrebbero intervenire subito, alzando i tassi di  interesse e introducendo controlli sui movimenti di capitali. Misure   che però Erdogan, non sembra   intenzionato ad attuare. E c'è la possibilità, mentre si inasprisce il  confronto con gli Stati Uniti, che Ankara si rivolga ad altre potenze per avere sostegno finanziario, come Russia e Cina, scivolando ancora   di più verso Est”. Al momento, aggiunge Binny, il contesto economico  della Turchia è "abbastanza sfidante e lo è ormai da qualche tempo".  

Le prime sfide "risiedono nella pessima bilancia delle partite   correnti e nel tasso di inflazione molto elevato, oltre il 15%". Ora,   avverte l’esperto il rischio è quello di "una classica trappola   valutaria: la gente compra la lira perché è conveniente, ma potrebbe   diventarlo ancora di più" in futuro. E anche l'inflazione "è un   problema, come lo è anche lo stato delle partite correnti”. ll Global Head of Currency di  State Street Global  Advisors ricorda che "le banche hanno molti debiti in valuta estera,  in particolare debiti denominati in dollari e in euro. E se la lira si  deprezza ancora, diventa ancora più difficile il pagamento di quei   debiti". Il pericolo è quello di una spirale negativa: "La lira si deprezza, diventa più difficile per le banche il pagamento del debito   e la lira si deprezza ancora. E questa situazione desta molte   preoccupazioni sullo stato di salute delle banche turche".

Dunque, che fare? Il Financial Times, in un articolo pubblicato oggi, spiega che la crisi non sara' facile da risolvere, perche' i rimedi che si aspettano gli investitori internazionali, sono esattamente il contrario di quello che intende fare il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, l'uomo forte del Paese, il piu' potente uomo di governo della Turchia dai tempi di Mustafa Kemal Ataturk.  Il quadro della situazione, tracciato sempre dagli analisti del quotidiano finanziario della City, non e' per niente confortante. Secondo gli investitori internazionali per raffreddare la surriscaldata economia turca, occorrerebbe aumentare le tasse e limitare la spesa, riducendo cosi' il rischio di un atterraggio economico difficile e facendo scendere il disavanzo delle partite correnti, che attualmente e' superiore al 5% del Pil.

In tal modo la dipendenza del Paese dai fondi stranieri diminuirebbe e il rallentamento dell'economia potrebbe frenare l'inflazione, che ora si attesta a piu' del 15%. Queste misure tuttavia non sono per niente gradite a Erdogan, il quale non e' mai stato convinto dalla necessita' di "riequilibrare" l'economia. Il suo governo, dopo il sanguinoso golpe del 2016, ha preso misure - comprese le agevolazioni fiscali - per mantenere alta la crescita. E il presidente si e' sempre opposto ad una stretta monetaria, che anche di recente ha definito come "la madre e il padre di tutti i mali".

Ecco perche' in occasione del crollo della lira turca, Erdogan si e' guardato bene dal prendere misure per fermare l'inflazione o ridurre il surplus commerciale, preferendo lanciare un appello alla Nazione e invitando tutti i turchi a scambiare valuta estera con lire turche. Ed oggi il 'sultano' di Ankara, mentre è tornato a parlare di “complotto politico” si e' detto pronto ad avviare scambi commerciali in valuta locale invece che in dollari.

(Segue...)

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