Usa, l'ombra della bolla: credito al consumo a rischio crac. I guai di Trump
I nodi dell'easy money a stelle strisce che ha anche fatto lievitare il bilancio della Fed di oltre 4 mila miliardi di dollari stanno venendo al pettine
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Se non smetterà di correre per un'escalation delle tensioni fra Washington e Pyongyang, il Toro del 2017 di Wall Street potrebbe dover fermare la sua carica a seguito dello scoppio di una nuova bolla finanziaria del credito negli Stati Uniti. Epilogo tipico da ciclo espansivo maturo che innescherebbe la recessione e che non meraviglia molti analisti finanziari visto che l'attuale fase di espansione a stelle e strisce si avvia spedita verso il traguardo dei 100 mesi di età, la seconda più lunga di sempre (120 mesi il top Usa da aprile 1991 a marzo 2001). Per il momento, il mercato prezza questo scenario recessivo al 30% delle probabilità. Ciò significa che per il 70% degli investitori, l'economia americana continuerà a vedere il segno più (al momento cresce poco sopra il 2%, lontano dal +3% sbandierato da Donald Trump in campagna elettorale) e Wall Street, probabilmente, ad aggiornare i propri record almeno fino alla fine dell'anno.
Fatto sta che dietro il buono stato di salute dell'economia americana certificato dai numeri di Pil e mercato del lavoro (tasso di disoccupazione ai minimi da 16 anni al 4,3% a maggio), ci sono delle ombre che la bassa inflazione (lontana dal target del 2%) e la composizione dell'occupazione (alta percentuale di precari, part-time, ecc...) lasciano intravedere.
Pare infatti che la Federal Reserve tema un altro crac negli States per i finanziamenti all'acquisto di auto, un affare da 1.170 miliardi di dollari complessivi, con una crescita del 70% rispetto ai minimi successivi allo tsunami finanziario.
Lo scrive La Stampa citando i numeri con i quali la banca centrale guidata da Janet Yellen, in scadenza di mandato, descrive le anomalie del mercato dei prestiti per l'acquisto di auto negli Stati Uniti (sembra di rivedere la scena pre 2008 in cui Greenspan consultava, ignorandoli poi, i report sul deterioramento del mercato immobiliare Usa). Un business che, con la corsa del mercato dell'auto, ha conosciuto negli ultimi 7 anni un'impennata senza precedenti, favorito dalla concessione "facile" di finanziamenti importanti tanto da contribuire a gonfiare l'indebitamento delle famiglie americane a 12.700 miliardi di dollari alla fine del primo trimestre del 2017, ben oltre il picco registrato nello stesso periodo del 2008, primo atto della crisi generata dalla bolla dei mutui subprime, i prestiti ad alto rischio (e ad alto rendimento) di cui si era fatto un uso spregiudicato all'inizio decennio scorso. C'è chi oggi vede preoccupanti analogie tra la giungla dei mutui di dieci anni fa e quella dei prestiti per le auto di oggi, specie dinanzi al crescere delle insolvenze.
La stessa Uber si è chiamata fuori dal business del leasing proprio per gli ammanchi di cassa causati dalle difficoltà degli autisti-debitori. A 10 anni esatti dallo scoppio della bolla dei mutui subprime, dunque, sotto le ceneri di quell'incendio finanziario che ha sconvolto tutta l'economia mondiale pare covino altri squilibri.
"L’economia americana si è infilata nuovamente in una festa del debito che rischia di finire molto male e che nessuno ormai osa fermare. Non vogliono fermarla le banche e le società di credito al consumo, che vedono il loro margine di interesse salire all’infinito. Non vuole fermarla la Fed, che teme di essere accusata di aver creato una recessione. Non vuole fermarla la politica di Washington, che vede nel debito al consumo in crescita il solo meccanismo per sostenere l’economia Usa. Uno scenario di questo tipo conferma l’attuale fase di bolla speculativa sui mercati", spiega infatti Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund.
Dopo quasi dieci anni di tassi a zero, il sistema occidentale si ritrova in una situazione peggiore di prima. Ha messo in sicurezza il sistema bancario, ma ha indotto i fondi d'investimento, che gestiscono i soldi dei privati risparmiatori, a sottoscrivere le cartolarizzazioni provenienti dai prestiti auto e dal consumer credit (anche il mercato Usa dei prestiti agli studenti mostra dei problemi) che oggi contengono il 20%-25% di crediti subprime. Il settore retail finanzia quindi la sua bolla sul credito al consumo in un circuito chiuso che finisce per finanziare sé stesso.
Tutto questo rende il sistema estremamente vulnerabile al costo del debito e le banche centrali hanno paura a intervenire con politiche monetarie restrittive per frenare questo meccanismo che ormai è scappato di mano. I nodi dell'easy money a stelle strisce che ha fatto lievitare il bilancio della Fed di oltre 4 mila miliardi di dollari stanno venendo al pettine e la correzione del Nyse che molti investitori temono potrebbe essere dietro l'angolo. Prima di quanto ci si aspetti. I consigli operativi? Sicuramente stare alla larga da quei "mercati azionari più esposti al ciclo del credito al consumo come Uk, Canada e Stati Uniti", suggerisce Novelli.