Esteri

"Arabia-Iran, guerra aperta". La mappa della tensione in Medio Oriente

Di Maria Carla Rota
@MariaCarlaRota
 
"Quella tra sauditi e iraniani è una guerra aperta in senso stretto. Non è forse nelle previsioni immediate, ma nulla fa escludere un'escalation, anche perché tutte le mosse degli ultimi giorni vanno in quella direzione". Così Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell'Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, commenta con Affaritaliani.it le tensioni crescenti tra i due giganti del Golfo, la sunnita Arabia Saudita e la sciita Iran, dopo l'uccisione a Riad dell'imam sciita Nimr al Nimr e l'assalto all'ambasciata saudita a Teheran. La rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi ha anche provocato un effetto domino tra i paesi sunniti: Bahrein, Emirati Arabi e Sudan hanno seguito l'iniziativa del regno saudita.
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Professor Parsi, l'uccisione dell'imam sciita al Nimr è stata la causa scatenante di tensioni ben più profonde. Che cosa sta succedendo?
"I sauditi hanno scelto di provare a far saltare le conseguenze dell'accordo sul nucleare iraniano, che ridisegna un nuovo ordine, al cui interno è previsto anche l'Iran, e che va a discapito del progetto egemonico saudita. E' una situazione molto delicata e grave, con poche possibilità di intervento in questo momento da parte degli attori esterni. C'è una fortissima determinazione saudita nell'impedire la riammissione dell'Iran nel cerchio delle nazioni legittime della regione".
Che conseguenze sta avendo questo accordo, che prevede la graduale sospensione della sanzioni contro Teheran in cambio dell’imposizione di limiti e controlli da parte delle potenze occidentali sul programma nucleare iraniano?
"Alcune conseguenze le abbiamo già viste nell’ammissione di Teheran alla Conferenza di Vienna sul futuro della Siria e nell'alleanza di fatto tra Russia e Iran sempre in Siria. Altre le vedremo nelle prossime settimane quando l’Agenzia per l'energia atomica revocherà le prime sanzioni. L'Iran tornerà a essere un produttore di petrolio e potrà rimettere mano ai suoi impianti, che sono obsoleti. Ne deriverà un elevato incremento nella produzione di petrolio e di gas, con un impatto molto forte sul mercato. I sauditi stanno provando a ritardare o contrastare questo cambiamento con la politica dei prezzi bassi: cercano di mettere fuori mercato chi ha costi di produzione e raffinazione più elevati dei loro, ovvero quasi tutti”.
L’abbassamento del prezzo del petrolio danneggia fortemente la stessa Arabia Saudita però. 
"Non c'è dubbio. Stanno infatti scontando una pesante crisi di liquidità, il deficit pubblico è quadruplicato nel giro di un anno, c'è un forte calo dei depositi e delle riserve auree, sono stati ridotti i sussidi all’acquisto di benzina da parte dei sudditi. Però partiamo da una montagna molto alta e teniamo presente che i sauditi estraggono benzina, i russi estraggono asfalto. Questo per dire quanto costa estrarre, ma soprattutto quanto costa raffinare. I sauditi hanno una posizione importante, sono i detentori delle seconde riserve mondiali di petrolio. Se il petrolio ha un prezzo basso, trascina verso il basso anche il gas, seppure non con effetto diretto, e quindi rende molto più lungo il periodo di ritorno degli investimenti in infrastrutture che la Russia sta intrapendendo per fornire di gas la Cina, per esempio".
Il ruolo della Russia qual è e quale potrebbe essere? Si è offerta di fare da mediatore tra Teheran e Riad.
“Intanto la Russia ha fatto qualcosa che solo sette mesi fa sarebbe stato impensabile. E' nuovamente un attore importante in Medio Oriente, anche grazie ll'intervento in Siria. La sua mediazione offrirebbe qualche garanzia all'Iran e spronerebbe gli americani a fare altrettanto. Se gli Usa fossero costretti a mediare e garantire i sauditi, i russi avrebbero l'opportunità di fare lo stesso con gli iraniani. Ma questo vanifica gran parte del successo americano sul nucleare. Un accordo che resta importante, ma che non porta a casa di Washington tutti i risultati in cui sperava Obama”.
Quali aspettative hanno gli Stati Uniti?
“Gli Stato Uniti vorrebbero la costruzione di un ordine mediorientale in cui potrebbero stare insieme, seppure su posizioni diverse, Arabia Saudita, Iran e Israele. Una convivenza all’interno della regia americana volta alla normalizzazione delle relazioni reciproche”.
Come l'Isis potrebbe approfittare di questa situazione? Il rapporto con l'Arabia Saudita è sempre stato ambiguo. 
“L’Isis ha riallineato tutti gli alleati, innanzitutto, scalzando l’Iran come arcinemico dell’Occidente. Il rapporto con l'Arabia Saudita era in origine molto stretto, anche se probabilmente non riguardava ufficialmente il governo. E' anche vero che è molto difficile distinguere che cosa è governo da che cosa non lo è in Arabia Saudita, il solo Paese al mondo che si chiama col nome del protagonisti. E’ il paese dei Saudi, dove tutto appartiene a loro, sono 14 mila principi. Quando i finanziamenti andavano dall'Arabia all'Isis era davvero poco credibile che le autorità pubbliche non sapessero. Come è successo con al Qaeda, adesso l'Isis dà problemi ai sauditi e loro lo combattono, ma prima lo hanno creato e coccolato. L'Isis si avvantaggia della tensione tra sauditi e iraniani perché tutto ciò che può essere presentato come lotta tra sciiti e sunniti va nella direzione della sua propaganda, che è sempre stata quella di essere paladino dei sunniti nei confronti degli sciiti apostati".