Esteri
Trump all'assalto del Canale di Panama, il piano per non farlo cadere nelle mani della Cina
Trump ritiene che la presenza cinese violi gli accordi originari con Panama: gli Stati Uniti potrebbero usare la forza per riprendersi il controllo
Canale di Panama, Trump fa sul serio: il piano del tycoon per non cederlo a Pechino
Prevenire è meglio che curare. Sembra questo il motivo per cui Donald Trump vuole mettere le mani sul Canale di Panama: evitare che cada “nelle mani sbagliate” così da scongiurare il pericolo di trovarsi costretto a intervenire di riflesso per arginare un problema economico, logistico e politico.
Le “mani sbagliate” sono quelle del nemico numero uno di The Donald, la Cina, che difatti già controlla indirettamente due dei cinque porti alle estremità degli 81,1 kilometri d’acqua che collegano Atlantico e Pacifico. Attivo dal 1914, il Canale di Panama è stato gestito dagli Stati uniti fino al 31 dicembre 1999, quando il controllo dello stretto è passato allo Stato centroamericano in virtù dei trattati Torrijos-Carter del 1977.
Firmati dai rispettivi presidenti dell’epoca Omar Torrijos e Jimmy Carter, gli accordi prevedevano il passaggio di consegne a partire dal 1° gennaio 2000 e il diritto degli Usa a intervenire militarmente per proteggere la neutralità delle acque. Oggi, il Canale è gestito dall’Autoridad de la región interoceánica. Tuttavia, nel 1996 il governo panamense ha affidato la gestione dei porti di Cristobal (Atlantico) e Balboa (Pacifico) a una azienda sussidiaria di Hutchison Whampoa, compagnia di spedizioni con sede a Hong Kong. L’accordo, rinnovato nel 2021, se un tempo non preoccupava Washington, oggi è visto come una potenziale minaccia poiché Hong Kong è tornata anzitempo sotto il controllo della Cina. La paura è che Pechino, che negli ultimi anni ha investito oltre due miliardi di dollari nella zona del Canale, sfrutti la propria posizione per danneggiare gli Usa tramite blocchi del transito oppure aumentando i pedaggi.
Per Trump e i suoi uomini, la presenza cinese non era prevista dagli accordi Torrijos-Carter e minerebbe la neutralità del Canale. “Il fatto che le strutture portuali su entrambe le estremità del canale cadessero sotto il controllo di entità legate alla Cina non ha mai fatto parte dell’accordo originario con Panama”, ha detto Sebastian Gorka, l’uomo che Trump ha messo a capo dell’Antiterrorismo per il suo secondo mandato. Tutelare i propri interessi, evitando di avere il nemico sotto casa, sembra dunque il motivo che spinge Trump a non escludere la forza per riprendersi Panama, come da lui stesso recentemente affermato.
Secondo i dati ufficiali dell’Autoridad, nel 2024 (escluso il mese di dicembre) sono transitate dal Canale più di 11mila navi, trasportando circa mezzo miliardo di tonnellate di prodotti. Di queste, 160 milioni sono partite o arrivate negli Usa, che dunque assorbono il 74,6% del volume totale in entrata o uscita. Al secondo posto si posiziona proprio la Cina, che con 45 milioni di tonnellate assorbe il 21,4%. Seguono poi Giappone, Corea del Sud, Cile e Messico. Complessivamente, come riportato a fine ottobre dall’Autoridad, nell’anno fiscale 2024 il traffico del Canale ha fruttato 4,9 miliardi dollari tra pedaggi e tariffe (che vanno da pochi fino a centinaia di migliaia di dollari in base a merci e tipologia della nave), in aumento rispetto al 2023 nonostante l’anno sia stato segnato da una forte siccità che ha compromesso parzialmente le operazioni.
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Negli ultimi cinque anni, ha sottolineato il vicepresidente finanziario del Canale Victor Vial, il volume degli introiti è aumentato dell’1%, cioè 1,8 miliardi di dollari, testimoniando l’affidabilità e la resilienza di uno dei più importanti snodi commerciali del mondo. Dal canto suo, il presidente di Panama José Raul Mulino ha risposto a Trump affermando che “ogni metro quadrato del Canale di Panama e la sua zona adiacente appartengono a Panama, e continueranno a esserlo”. Riprendersi la zona darebbe agli Usa la possibilità mettere le mani non solo su questi introiti, ma soprattutto di controllare direttamente il 3-6% del commercio marittimo globale. Una posizione che permetterebbe a Trump, se lo volesse, di colpire i traffici cinesi (ma anche di altri attori) all’interno della sua strategia di guerra commerciale con Pechino. Proprio per questo, la Cina starebbe già pensando a un piano B nel caso dovesse venire estromessa da Panama, progettando di costruire in Honduras una rete autostradale e ferroviaria che colleghi i due Oceani bypassando il trasporto navale attraverso il Canale. In ogni caso, visti i costi economici e logistici delle rotte alternative, l’adozione di misure che comportino un drastico e perdurante calo dei transiti rimane molto improbabile perché sarebbe troppo dannoso per tutti. Basti pensare che un incidente fortuito durato “solo” sei giorni, come quello avvenuto nel Canale di Suez nel 2021 col rovesciamento della nave Ever Given, aveva causato danni al commercio globale per circa 45 miliardi di dollari.