Esteri
Caso Cecilia Sala, entro 10 giorni la decisione sui domiciliari all'ingegnere iraniano per accelerare la liberazione
Il negoziato ruota intorno alle prossime scadenze giudiziarie di Abedini
Caso Cecilia Sala, entro 10 giorni la decisione sui domiciliari all'ingegnere iraniano per accelerare la liberazione
Sospesa a una trattativa condotta da diplomatici e servizi segreti, la giornalista attende gli sviluppi del caso di Mohamed Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano arrestato a Malpensa che gli Stati Uniti vogliono estradare, mentre Teheran ne chiede la scarcerazione legandola alla liberazione di Sala.
Un negoziato che ruota intorno alle prossime scadenze giudiziarie di Abedini, fermato il 16 dicembre a Milano in un’operazione della Digos coordinata proprio con le autorità statunitensi. Entro il 2 gennaio 2025, la Corte d’Appello di Milano dovrà stabilire la data dell’udienza per valutare la richiesta di sostituire la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari per Abedini.
L’uomo, 38 anni, è accusato di aver cospirato per esportare componenti elettronici destinati a droni dall’America all’Iran, oltre che di aver fornito supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, circostanza che avrebbe provocato la morte di tre militari uccisi in un attacco con drone contro una base USA in Giordania.
Entro dieci giorni, la Corte d’Appello dovrà pronunciarsi sulla concessione degli arresti domiciliari richiesti dal legale dell’iraniano. Nell’istanza è stata inserita una clausola di “garanzia” che impone ad Abedini l’obbligo di rimanere esclusivamente presso il luogo indicato.
Cecilia Sala e i metodi iraniani. Un ex detenuto di Evin svela cosa succede in quel carcere
Cecilia Sala "rischia di restare a lungo in carcere in Iran". Lo sostiene un giornalista ed ex detenuto che è rimasto in prigione a Evin, proprio dove si trova Sala, per oltre 500 giorni. Le autorità iraniane ieri hanno spiegato così il motivo dell'arresto avvenuto lo scorso 19 dicembre: "Ha violato le leggi della Repubblica islamica". In che modo, però, non è dato sapere. Jason Rezaian, giornalista iraniano-americano nel 2014 fu arrestato in Iran con l’accusa di spionaggio e "propaganda contro il sistema" insieme alla moglie: lei - riporta Il Corriere della Sera - fu rilasciata dopo due mesi e mezzo, lui processato, condannato e liberato dopo un anno e mezzo grazie a uno scambio di prigionieri con gli Stati Uniti e lo sblocco di fondi iraniani congelati. Oggi è direttore delle iniziative per la libertà di stampa del Washington Post.
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"L’unica cosa che mi aiutava quand’ero in isolamento a Evin - spiega Rezaian a Il Corriere - come Cecilia, era l'idea che a un certo punto sarebbe finita. Ti senti in Purgatorio, potresti essere destinato a restare là per un minuto o per sempre, i tuoi carcerieri ti dicono che potrebbero ucciderti, trattenerti in eterno o liberarti la notte stessa: una tortura mentale per spezzarti. Ogni minuto in più là dentro è un vero abuso, non solo un crimine: noi lo consideriamo un atto di terrore. "Per la legge americana prendere qualcuno in ostaggio è un atto di terrore e tenerlo in isolamento per più di 15 giorni è tortura".