Esteri
Chip war, la Cina sfida l'Ue che va col Giappone. Transizione green a rischio
Lo stop alle esportazioni di gallio e germanio impatta anche su veicoli elettrici e pannelli solari. E nel mirino c'è anche o soprattutto l'impreparata Europa
La Cina blocca i metalli chiave per i chip, ma c'è l'impatto anche sulla transizione energetica dell'Ue
Non solo gli Stati Uniti. Nel mirino del nuovo capitolo della chip war lanciato dalla Cina col freno alle esportazioni di gallio e germanio c'è anche l'Europa. Il problema per il Vecchio Continente non è solo o non tanto quello della produzione di semiconduttori, visto che di grandi impianti di fabbricazione non ce ne sono molti. Semmai, il problema è che i due metalli cruciali per la realizzazione di chip ad alte performance sono fondamentali anche per lo sviluppo di auto elettriche e pannelli solari. Ciò significa che a essere a rischio c'è anche la tenuta e gli obiettivi della transizione energetica dell'Europa.
Sì, perché la dipendenza dalla Cina è molto forte. Pechino è il produttore globale dominante di entrambi i metalli. Secondo il Critical Mineral Intelligence Centre del Regno Unito, la Cina rappresenta circa il 94% della produzione mondiale di gallio e il 67% di germanio. Un dominio sfruttato, sul gallio, nello sviluppo delle infrastrutture di rete 5G. Così come il germanio, il gallio ha un ruolo nella produzione di una serie di semiconduttori composti, che combinano più elementi per migliorare la velocità e l'efficienza della trasmissione.
Sebbene questi metalli siano rintracciabili anche altrove (per esempio in Corea del Sud, Giappone, Russia e Ucraina) la Cina ha fondato una sorta di dominio perché ha sin qui rifornito il mondo in modo altamente vantaggioso prezzo, avendo mantenuto bassi i costi estrattivi e di lavorazione. Entrambi i metalli sono infatti sottoprodotti della lavorazione di altre materie prime come il carbone e la bauxite, la base per la produzione di alluminio.
La risposta di Xi Jinping alla riduzione del rischio voluta da Von der Leyen
La mossa, secondo gli analisti, potrebbe creare notevoli disagi ai paesi che stanno cercando di ridurre la propria dipendenza dalla Cina: potrebbero volerci anni prima di ricreare una nuova filiera di approvvigionamento, fattore che Pechino starebbe cercando di sfruttare per controbilanciare le restrizioni statunitensi e spingere Washington a negoziare un compromesso.
Ma i problemi, come detto, sono anche e soprattutto per l'Europa, che è in possesso di un'industria ben più arretrata di quella statunitense nel settore e finora non è riuscita ad attrarre grandi investimenti dei colossi asiatici di fabbricazione e assemblaggio come la taiwanese TSMC (in trattativa con la Germania per l'apertura di una fonderia a Dresda) e la sudcoreana Samsung. Entrambe sono invece già all'opera negli Usa, dove stanno costruendo dei mega impianti rispettivamente in Arizona e in Texas.