Esteri

Coronavirus, Geraci: "L'Asia ne uscirà rafforzata. Draghi?Perfetto sovranista"

Lorenzo Lamperti

Intervista all'economista ed ex sottosegretario in quota Lega allo Sviluppo economico del primo governo Conte

Michele Geraci, come giudica l'operato del governo italiano di fronte all'emergenza coronavirus? Purtroppo sono costretto a giudicarlo molto male. Partiamo dall'inizio. Il 1° febbraio vengono chiusi i collegamenti aerei diretti con la Cina e viene dichiarata l'emergenza sanitaria. Grandi fanfare, ma nella sostanza non è stato fatto granché. Non sono state fatte provviste di materiale medico, mascherine ed altro. Insomma, l'emergenza è stata annunciata ma le parole hanno dominato le azioni, come spesso accade da noi.

La chiusura dei voli è stata una scelta sbagliata?

Sarebbe stata una misura giusta se inserita in un sistema comprensivo di altre misure. Ma purtroppo si sarebbero dovuti monitorare gli arrivi dalla Cina via paesi terzi, indipendentemente dalla nazionalità dei passeggeri. Fatta cosi è stata una misura che galleggiava isolata fuori da un contesto più ampio. Ha dunque avuto un effetto boomerang, perché ha dato l'illusione di essere in controllo. L’illusione che il problema potesse essere chiuso fuori dalla porta. Si è insistito molto sui due turisti cinesi allo Spallanzani, ottimamente curati, ma anche dopo questa allerta iniziale nulla è cambiato ne nel modo di comunicare, ne nel modo di vivere degli italiani. Giuste invece le campagne mediatiche per spiegare che i cinesi di via Sarpi non erano a rischio contaggio più di quanto non lo fosse un nostro manager del Nord che viaggia e ritorna dalla Cina. Il virus non ha nazionalità e questo andava ribadito e anch’io l'ho fatto più volte. Prudenza si, razzismo mai..

C'è stata una sottovalutazione anche una volta che sono stati scoperti i primi casi "italiani"?

Una volta che l'epidemia è arrivata da noi ci sono poi stati gravissimi errori di comunicazione, con una pericolosa minimizzazione veicolata sia dai media sia dalla politica, tra apertivi e "Milano non si ferma". E si restava incredibilmente ignari di quanto succedeva in Cina. Io ho provato ad alzare l'allarme per settimane. Non sono un virologo, ma mi pare evidente che se Xi Jinping blocca 60 milioni di persone significa che si deve stare molto all'erta. E ho visto e seguito come vivevano le persone in Cina durante la loro, vera, quarantena, non annacquata come la nostra.

La Cina ha però ammesso l'esistenza dell'epidemia in ritardo. Quante colpe ha?

In Cina ci sono stati dei ritardi e Pechino lo ha anche ammesso. Detto questo, il 31 dicembre la Cina ha comunicato all'Oms dei casi di polmonite anomali, poi ci sono state tre settimane in cui anche loro hanno un po' cincischiato. Ma quando hanno capito la gravità, hanno agito con grande forza e decisione. Ma bisogna che in Italia si comprenda che la colpa è stata degli amministratori locali, non del governo centrale, dettaglio non indifferente. Noi oggi siamo al 26 marzo e siamo ancora alla fase del dibattito, su quale modello usare, Cina o Corea, filosofeggiamo su privacy o sicurezza, che tipo di quarantena fare, mentre abbiamo 80.000 contagi e 8.000 decessi. Sono discussioni che si dovevano fare a gennaio. Il nostro ritardo è più grave perché non abbiamo capito che cosa stava succedendo in Cina. Anzi, le critiche alla Cina di sottostimare i contagi, ci avrebbero dovuto portare a uno stato di allerta maggiore, e a enfatizzare i segnali in arrivo da Wuhan, non minimizzarli. Errori di metodo e di merito. Se Xi blocca 60 milioni di persone ci doveva per forza essere un motivo grave. Noi ci siamo fermati a lamentarci della Cina, abbassando l'allerta invece di moltiplicarla. Aggiungo che i vertici del Partito Comunista di Hubei e Wuhan sono saltati. In Italia che cosa succederà? Qualcuno pagherà gli errori commessi?

Se i ritardi cinesi sono dovuti a censura e a problemi di comunicazione tra centro e periferia, a che cosa vanno addebitati quelli italiani?

Credo che alla base del ritardo, non solo italiano ma direi occidentale, ci sia un complesso di superiorità nei confronti dell'Asia, che non ci fa accettare che possiamo prendere delle lezioni da quella parte di mondo. Non facciamo benchmarking, non capendo che non è che se si attinge parte di un modello altrui si perde la propria identità. Se si assume una best practice della Cina non è che si diventa comunisti, così come se si segue una best practice degli Stati Uniti non si diventa tutti trumpiani. Purtroppo, ora che sono tornato in Italia da 2 anni dopo 30 anni all'estero posso dire che al nostro paese manca una classe dirigente pensante, un dibattito carente di contenuti, di analisi e, soprattutto di visione. Siamo tutti sempre troppo polarizzati.

Il cosiddetto "modello cinese" è replicabile in una democrazia occidentale come l'Italia?

Nella sua interezza è impraticabile. Però anche in democrazia in presenza di una pandemia si possono limitare le libertà individuali. Anche in democrazia si possono adottare soluzioni tecnologiche che garantiscono sicurezza a scapito della privacy. A me va bene che Bertolaso sappia dove vado se questo può servire a salvare delle vite. In Cina la quarantena era obbligata e chi ne usciva veniva arrestato o bloccato. Qui si fa una multa e un processo penale che partirà forse dopo anni. Nel frattempo però ha infettato. La democrazia deve dimostrare che la legge serve a limitare i contagi, non ad allungare il lavoro per avvocati.

Ma all'Italia non manca l'apparato tecnologico e umano di cui invece la Cina è dotata?

La tecnologia c'è anche in Italia, bisogna solo adottarla. Serve immediatamente, non si può aspettare. Più che altro manca il controllo fisico delle persone in quarantena, questo sì. Un controllo fisico che in Cina c'è stato a cascata dal presidende Xi fino al portiere di ogni singolo compound, che chiudeva la catena di ingresso e controllava entrate e uscite, con la gestione di 5-10 mila persone. Non si tratta solo di esercito in strada, ma di barricate dei capo villaggio e dei portieri delle grandi città. E certo, anche di droni.

Potrebbe funzionare in Italia il modello coreano?

Purtroppo è troppo tardi per il modello coreano. Lì la tecnologia è stata utilizzata immediatamente, così come sono stati fatti subito tamponi a tappeto, e sono riusciti a isolare il problema. Lì la quarantena non è stata obbligata perché sono riusciti a muoversi in anticipo. L'Italia invece è in ritardo, è costretta a inseguire il problema, non a prevenirlo. Stiamo ancora a discutere di che cosa dovremmo fare.

Pechino ha lanciato una "Via della Seta sanitaria" partendo proprio dall'Italia, almeno per quanto riguarda l'Europa. E' giusto ringraziare per gli aiuti e basta oppure è corretto sollevare dei dubbi sulle eventuali mire strategiche che ci sono dietro?

Si tratta di un problema che va sollevato, ma non in questo momento. Noi ora abbiamo bisogno di tutto l'aiuto che arriva. Noi adesso dobbiamo pensare a salvare delle vite. Bisogna stare attenti a essere critici con chi ci aiuta. Questo discorso non vale solo per la Cina, ma anche per gli Stati Uniti. Anche loro ci stanno aiutando. La valutazione sugli eventuali motivi strategici va fatta ma non esiste un pericolo immediato di ingerenze esterne da parte di nessuno. Non mi pare poi che la Cina stia facendo take over di Telecom Italia, è da Vivendi che ci dovremmo semmai guardare. Piuttosto deve esserci una forte attenzione sulle aziende italiane, visto il crollo della Borsa, per impedire scalate. Io avrei chiuso il mercato. Per quanto riguarda i problemi geopolitici, quelli vanno risolti e non proclamati. Proclamare non aiuta. 

Non può cambiare il posizionamento strategico dell'Italia?

La nostra debolezza è economica, non geopolitica. I nostri valori di liberismo, atlantismo ed europeismo (seppur distanti dall'odierna espressione dell'Unione europea) non sono in discussione. Dobbiamo invece guardarci da eventuali acquisizioni predatorie.

Non c'è la possibilità che le aziende cinesi possano approfittare della contingenza in materia, per esempio, di 5G?

Non esiste nessun rischio. Non è che il golden power si smonta perché stiamo ricevendo aiuti umanitari. Piuttosto il rischio è che sul 5G l'Italia resti con il cerino in mano. Stiamo anche qua parlando di chi non lo deve fare piuttosto che parlare di chi lo deve fare. Il nostro paese deve fare un salto tecnologico, divenuto ancora più necessario dopo la pandemia. Mentre noi tentenniamo gli altri paesi europei vanno avanti, alcuni anche con la Cina, sia chiaro, i nostri “amici” europei che ci criticano tanto. Qua rischiamo di ritrovarci in un angolino, ancora più indietro di quanto già non siamo adesso.

Come conciliare le esigenze sanitarie con quelle economiche?

La Cina ha chiuso tutto due mesi e ora sta ripartendo. Ha preso una botta tremenda ma si riprenderà perché ha un'economia statalista che stampa moneta e che introduce ingenti pacchetti di stimolo per le aziende. Ci sarà un'ondata di investimenti e un ulteriore salto di qualità a livello tecnologico e di servizi. Quello che dovremmo fare noi sarebbe trasformare il debito privato in debito pubblico. Sono d'accordissimo su questo con Draghi, che su questo punto mi sembra diventato un perfetto sovranista. Il vero problema del post emergenza non sarà tanto la domanda quanto l'offerta. Noi rischiamo di avere gente che non spende anche e soprattutto perché la produzione si sarà fermata. Non possiamo desertificare il nostro settore produttivo. La politica di helicopter money è necessaria ma non sufficiente per sostenere cittadini e imprese. Servirebbe quello che si potrebbe chiamare un reddito di cittadinanza universale per imprese e lavoratori per fare un freeze di questo periodo.

Le misure del governo Conte vanno nella direzione giusta?

Io credo che in questo caso non si possa procedere a piccoli passi. Non funziona mettere prima 3.5 miliardi, poi 7, poi 25 e poi altri 25. Servono 200 miliardi e basta. Se Draghi invece di dire "whatever it takes" tutto insieme avesse detto una settimana "whatever", la settimana dopo "it" e quella ancora dopo "takes" non saremmo andati da nessuna parte. Serve uno stimolo da 10 punti di pil.

Come si immagina il mondo post Covid-19?

Lo dico con tristezza, ma vedo un'Italia che rischia una desertificazione delle competenze. E così l'Europa. I ventenni e i nostri "cervelli" non hanno il tempo di aspettare le nostre lentezze. Non abbiamo un sistema istituzionale che reagisce velocemente, si tratta di un inevitabile prezzo da pagare per il nostro check and balance ma che ci penalizza e ci penalizzerà. Ci saranno milioni di disoccupati e un grave problema demografico con la perdita di persone produttive giovani, ma non solo, che andranno all'estero. L'Asia emergerà ancora di più. I laureati più preparati si riverseranno in paesi come la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’Inghiterra. E la rinascita cinese si riverserà in Vietnam e in Indonesia. Anche gli Stati Uniti potrebbero avere buone prospettive perché battono moneta e agiscono velocemente. La nostra lentezza rischia invece di essere la nostra rovina. Anche perché per fare le riforme che serviranno ci vorrebbe un governo molto forte, non succube di elezioni regionali o delle divisioni interne del Pd o del Movimento Cinque Stelle. Temo che se non cambia qualcosa continueremo a parlare al futuro e al condizionale senza mai adottare le grandi misure necessarie. Ci vorrebbe un governo con coraggio, vero.

Serve un governo di unità nazionale?

Sì, servirebbe. Sarebbe l'unico modo per evitare che i diversi partiti pensino al consenso e non all’interesse del paeseIl governo Conte dovrebbe allargare anche alla Lega, FDI, a tutti.

E la Lega accetterebbe?

Non posso rispondere a nome di Salvini, ma io accetterei qualunque cosa pur di non continuare così. Entrerei in un governo di unità nazionale per costruire il futuro dell'Italia.