Esteri

Così Renzi vuol far cadere Conte. Ecco perché insiste sul caso Barr

Di Lorenzo Lamperti e Alberto Maggi

Il premier rischia davvero sui rapporti tra Italia e Stati Uniti d'America

A Matteo Renzi non interessa tanto la poltrona, quanto il detonatore. L'ormai interminabile querelle sui Servizi segreti, che sta diventando incredibilmente più importante del dibattito sul Recovery Plan (ovvero sui soldi per rilanciare il Paese) tra il leader di Italia Viva e il presidente del Consiglio si interseca con il caos americano, l'amministrazione Trump e la politica estera del governo gialloverde.

"Renzi sa che il tema dei Servizi segreti è il nervo scoperto di Conte, l'argomento che può farlo davvero saltare", spiega una fonte di primo livello ad Affaritaliani. "Il suo interesse non è tanto quello di portare a casa una nomina, ma di utilizzare i Servizi come clava per far cadere Conte", aggiunge un'altra fonte interpellata da Affari.

D'altronde è evidente che a dividere Italia Viva e l'inquilino di Palazzo Chigi non ci siano soltanto le priorità del Recovery. Altrimenti non si capirebbe perché nonostante la nuova bozza del Pnrr abbia recepito quasi tutte le richieste dei renziani dagli esponenti del partito dell'ex premier continuino ad arrivare bordate contro il presidente del Consiglio gettando molto spesso benzina e non acqua sul fuoco.

Ma torniamo ai rapporti Italia-Usa. Tutto ruota intorno alla ormai celeberrima visita in Italia di William Barr, avvenuta nell'estate del 2019. L'allora procuratore generale di Donald Trump (che in questi giorni ha condannato duramente il presidente uscente per l'assedio a Capitol Hill) si recò a Roma per incontrare il capo del Dis Gennaro Vecchione. Obiettivo: cercare “nell’interesse dell’Italia di chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri Servizi all’epoca dei governi precedenti”, dunque quelli di Renzi e Gentiloni. L'intenzione di Barr (e di Trump) era quella di avvalorare che il Russiagate fosse stato una montatura ai danni del tycoon, costruita ad arte dai Democratici di Barack Obama e Hillary Clinton con la possibile partecipazione di parti dei Servizi italiani. Il personaggio centrale della vicenda è Joseph Mifsud, professore maltese della Link University di Roma. Nel 2016 Mifsud, scomparso ormai da tre anni, avrebbe agganciato proprio a Roma l’allora  consulente della campagna presidenziale di Trump, George Papadopoulos, per offrirgli materiale "compromettente” (nello specifico migliaia di email hackerate dalla Russia) sulla Clinton.

Secondo la teoria del complotto trumpiana, riesplosa negli ultimi giorni, Mifsud sarebbe stato un agente italiano a libro paga della Cia, impegnata a incastrare Donald. Così come una nuova teoria del complotto indica in Renzi e Obama gli artefici della presunta "frode elettorale" ai danni di Trump.

Nel 2019, Conte confermò davanti al Copasir che Barr e il procuratore John Durham erano volati a Roma in due occasioni, il 15 agosto e il 27 settembre dello stesso anno, per incontrare i vertici della nostra intelligence e chiedere chiarimenti sul presunto “filone italiano” del Russiagate.

"I direttori dei Servizi possono parlare solo con i servizi collegati. Se Barr ha incontrato dei funzionari della nostra intelligence non si può dire si tratti di una prassi rituale", aveva già spiegato sul tema ad Affaritaliani Alfredo Mantici, ex capo del dipartimento Analisi del Sisde. "Sarebbe stato rituale se Washington avesse mando la Cia a parlare con i servizi italiani. Lo schema normale sarebbe questo: Conte chiede a Vecchione informazioni sulla vicenda e poi convoca lui stesso il ministro della giustizia degli Stati Uniti. I servizi segreti non sono a disposizione di un'autorità giudiziaria straniera, anche perché non sono a disposizione nemmeno dell'autorità giudiziaria italiana", spiega ancora Mantici.

A dare l'idea di quanto il tema Stati Uniti sia caldo e tega banco nella maggioranza sono arrivate questa mattina le parole della ministra renziana Elena Bonetti. "La democrazia italiana deve condannare senza se e senza ma l'irresponsabilita' di Trump e deve riconoscere che quel populismo è il primo nemico della democrazia attraverso la violenza delle parole e la deligittimazione delle istituzioni. Conte certamente non ha avuto la chiarezza di Angela Merkel ma nemmeno la prontezza e la chiarezza di Ursula von der Leyen che subito ha riconosciuto nel presidente Biden l'interlocutore europeo. Noi stiamo con quella visione, non con il Governo del cambiamento che, ahimè, erastato appunto paragonato all'amministrazione Trump", ha affermato la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia. Insomma, Conte non ha sufficientemente condannato Trump per l'assalto al Campidoglio. E' la conferma che per Italia Viva gatta ci cova.

Una cosa è chiara: Renzi non vuole le elezioni anticipate ed è convinto che non le voglia nessuno, tranne Giorgia Meloni. Il sospetto in casa Pd e M5S è che il leader di IV punti a un nuovo premier con la stessa maggioranza o con il sostegno almeno di una parte del Centrodestra. Ecco perché, nonostante i passi avanti sul Recovery, continua a colpire sul tema Servizi-Barr. Appunto, detonatore...