Esteri
Elezioni in Polonia: parola alle urne dopo anni di erosione della democrazia
Dalla libertà di stampa alla legge sull'Olocausto, dalla riforma della giustizia ai diritti Lgbt+. La controversa presidenza Duda al test del voto
Si terranno domenica 28 giugno le elezioni presidenziali polacche, a distanza di oltre un mese dalla data originaria, quella del 10 maggio, saltata dopo la bocciatura da parte del parlamento della legge che le avrebbe rese possibili votando via posta e che ha avuto un iter travagliato, aggiungendo altro malumore a una società già agitata dal coronavirus e dalle proteste.
Se infatti la Polonia è tra i Paesi europei meno colpiti dalla pandemia, le misure di restrizione hanno avuto conseguenze non solo sanitarie. I partiti di opposizione si sono infatti detti danneggiati dall’impossibilità di fare per mesi una campagna elettorale nelle piazze, mentre il presidente in carica, Andrzej Duda, ha potuto contare sull’appoggio dei mezzi di informazione pubblica, che sono indirettamente controllati dal partito della destra radicale Diritto e giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, PiS) che lo sostiene e che dal 2015 è al governo.
Polonia, libertà di stampa e la legge sull’Olocausto
È di quell’anno una legge, voluta dallo stesso partito, che consente al governo polacco di esercitare un forte controllo mediatico, rendendo le posizioni ai vertici delle maggiori emittenti radiofoniche e televisive statali direttamente nominate dal ministero del Tesoro, ed eliminando di fatto ogni critica al governo. Nonostante gli ammonimenti dell’Unione europea, caduti nel vuoto, nel 2017, secondo Amnesty International, sono stati più di 234 i giornalisti penalizzati, licenziati o costretti alle dimissioni.
Andrzej Duda e Dariusz Stola
L’anno dopo è la volta di una legge che vieta di definire “polacchi” i campi di sterminio costruiti su suolo polacco ai tempi del nazismo, con pene fino a tre anni di carcere per i trasgressori. Dopo le proteste internazionali, soprattutto di Israele, la reclusione è stata eliminata ma sono rimaste le multe, e il divieto non è cambiato, inserendosi tra quei tentativi di “revisionismo storico” di un Paese che ha sempre avuto difficoltà a fare i conti col proprio passato, e che vuole vedere i polacchi solo come combattenti positivi, ignorando il fatto che possano esserci stati, tra loro, sia vittime che eroi che carnefici.
E la questione è ancora attuale, considerando che a marzo Dariusz Stola, direttore del Polin, Museo della storia degli ebrei polacchi, è stato spinto a dare le dimissioni poiché la sua gestione era in contrasto con quella voluta dal governo, che lo accusava di politicizzare troppo il museo insistendo sulle persecuzioni sofferte dagli ebrei da parte dei polacchi. Che pure ci sono state, è un fatto accertato, nonostante il governo cerchi di ostacolare studi e ricerche che si rivolgono in questa direzione.
Aborto e diritti delle donne
Altro tema scottante per la Polonia è l’aborto. Varsavia ha in materia una tra le legislazioni più restrittive d’Europa, oltre a un numero molto alto di medici obiettori, rendendo frequente il ricorso ad aborti clandestini. Per legge, la pratica è permessa solo in tre casi: se la gravidanza è conseguente a una violenza, se sussiste un pericolo di vita per la donna, se risultano gravi malformazioni del feto.
Nel 2016, per la prima volta, PiS presenta una proposta di legge per eliminare quest’ultima eventualità. Migliaia di donne scendono allora in piazza per opporsi a questa modifica vestite a lutto, creando il movimento Czarny Protest, Protesta nera, e costringendo il governo a fare un passo indietro e ritirare la proposta.
Nel 2018 un secondo disegno di legge viene presentato sempre da PiS con lo stesso scopo, ma ancora una volta le forti proteste di piazza fanno fallire il progetto. A metà aprile 2020, in piena emergenza coronavirus, la proposta di modifica alla legge è tornata nuovamente all’esame del parlamento, probabilmente sperando che il lockdown imposto alla popolazione per arginare il contagio impedisca ai manifestanti di opporsi ancora una volta pubblicamente.
E invece la protesta esplode su due fronti: online, con l’hashtag #ProtestAtHome lanciato da Amnesty International che rende la campagna internazionale, e in piazza. Sì, perché le donne polacche decidono di sfidare il governo scendendo per le strade a manifestare con cartelli, picchetti, volantini, poster, ma sempre mantenendo il distanziamento sociale. La polizia è comunque intervenuta per infrazione della quarantena, ma alla fine lo scopo è stato raggiunto: il disegno di legge antiaborto è stato respinto da entrambe le camere. Anche se non si escludono nuovi tentativi di ripresentarlo a breve.
Diritti civili e comunità Lgbt+
Altri diritti civili a essere fortemente a rischio nel Paese sono quelli della comunità Lgbt+. La Polonia, in Europa, è tra gli stati col più alto livello di omofobia, oltre a essere tra gli ultimi sei che ancora non hanno riconosciuto la validità legale delle unioni civili (insieme a Bulgaria, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia). Dall’anno scorso, poi, circa 80 comuni in tutto lo stato si sono ufficialmente dichiarati “zone libere dall’ideologia Lgbt”, affiggendo cartelli multilingua all’ingresso.
Le accuse mosse alla comunità arcobaleno sono di minacciare e danneggiare i valori tradizionali del Paese: la religione, la nazione, la famiglia. E la religione ha una forte influenza in Polonia, da sempre profondamente cattolica. Il partito di governo, PiS, ha definito quella Lgbt+ “una malattia” che sta contagiando tutta Europa. La Chiesa, da sempre vicina agli ambienti politici di destra ed estrema destra, non è stata da meno, con l’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, che ha parlato dell’omosessualità come “piaga”, da cui lo slogan subito ripreso dall’ultradestra, “piaga arcobaleno”.
Più di recente, la scorsa settimana, in un comizio elettorale Duda ha definito la difesa dei diritti Lgbt+ “un’ideologia più pericolosa del comunismo”, mettendo in guardia la folla: “Stanno provando a convincerci che si tratta di persone, ma è un'ideologia”, spiegando come la generazione dei suoi genitori non avesse combattuto il comunismo per anni per poi trovarsi davanti a “una nuova ideologia ancora più distruttiva”.
Ma oltre ai proclami ci sono anche iniziative ufficiali per ostacolare l’uguaglianza dei diritti: per esempio, le ong Lgbt+ sono escluse dai progetti e dai bandi di concorso, e si impedisce che possano affittare spazi per formazioni, conferenze, eventi.
Il Parlamento europeo è intervenuto lo scorso dicembre con una risoluzione che ha esortato la Commissione europea a “condannare tutti gli atti pubblici di discriminazione contro le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali nelle zone franche Lgbt” in Polonia. Nella risoluzione viene anche chiesto “di monitorare come vengono utilizzati tutti i finanziamenti comunitari", sottolineando che tali fondi “non devono essere utilizzati a fini discriminatori”. Ma la risoluzione vale come una raccomandazione, è un atto non vincolante.
La riforma giudiziaria della Polonia
Provvedimenti più concreti, invece, potranno essere presi per la riforma giudiziaria approvata a gennaio di quest’anno dal parlamento polacco. La nuova legge impone ai giudici il divieto di critica su qualsiasi decisione del governo e di svolgere ogni attività pubblica che possa essere considerata politica (quindi anche esprimere una propria opinione o partecipare a manifestazioni). Chi non si atterrà alle nuove regole potrà essere multato, degradato o licenziato.
Proteste in difesa della costituzione in Polonia
Secondo la corte suprema polacca, il piano del governo è quello di costringere i magistrati ad applicare qualsiasi decisione presa dall’esecutivo, anche nel caso in cui contrasti con le norme europee, oltre a rendere possibile per Duda “scegliersi” un nuovo presidente della corte suprema. Proteste si sono levate da più parti e l’alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani ha avvertito che la legge “rischia di compromettere ulteriormente l'indipendenza già fortemente indebolita della magistratura in Polonia”.
Si erano infatti già verificati altri tentativi di intervento sul sistema giudiziario, costati al Paese l’avvio di tre procedure di infrazione per violazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che detta appunto la linea da seguire nei casi di “violazione sistematica dello stato di diritto”. Ora questa nuova “legge-bavaglio” viola nuovamente il Trattato, e la Ue ha deferito ancora una volta la Polonia alla Corte di Giustizia Europea.
Al momento non c’è molto di concreto che l’Europa possa fare, perché per arrivare alla sanzione finale, la sospensione dei diritti dello stato membro, compreso quello di voto, servirebbe l’unanimità dei capi di Stato e di governo, e in questo caso Polonia e Ungheria potrebbero tutelarsi a vicenda, trovandosi in condizioni simili.
Più probabile è che si faccia leva sul lato economico. Il Paese è uno dei principali beneficiari dei fondi europei, soprattutto per progetti infrastrutturali e agricoli. Nel 2017, per esempio, ha ricevuto quasi quattro volte quanto versato. A gennaio del 2019 il Parlamento Europeo ha approvato una norma che prevede, dal 2021, tagli ai fondi, dalla riduzione al blocco, per i Paesi che violano lo stato di diritto, e la Polonia potrebbe essere sanzionata in questo modo. Tuttavia, se la frattura in corso si allarga, si potrebbe davvero correre un “rischio Polexit”, cioè l’uscita della Polonia dall’Unione Europea.
Elezioni in Polonia: cosa dicono i sondaggi
A tutto ciò si aggiunge un generale malcontento per come è stata gestita la questione delle elezioni. Secondo alcuni sondaggi, il 72% della popolazione si è dichiarato contrario al voto per posta e in molti hanno denunciato la possibilità concreta di brogli elettorali legata a tale modalità. Per questo, i partiti di opposizione e numerosi cittadini avevano già annunciato di voler boicottare le elezioni del 10 maggio, e qualcuno è intenzionato a farlo anche domenica, quando il voto potrà essere espresso sia per posta che alle urne.
Di certo, Duda aveva ogni interesse a mantenere la data originaria, quando i sondaggi lo davano in testa col 60% delle preferenze. A quanto sembra, i suoi timori di perdere consenso erano fondati, se le previsioni attuali lo danno tra il 36 e il 40%. I possibili tagli ai fondi europei, il malcontento acuito dalle vicende elettorali, la disoccupazione in crescita causa coronavirus e lo spettro della crisi economica che inevitabilmente seguirà l’emergenza sanitaria hanno certamente influito su questo cambiamento.
Ma molto ha fatto anche la discesa in campo di Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia, esponente del partito di centrodestra Piattaforma civica e dal 14 maggio maggior sfidante del presidente uscente. Apertamente favorevole alla difesa dei diritti Lgbt+, secondo i sondaggi il suo consenso tra gli elettori sarebbe del 28%.
Numeri che non bastano per la vittoria ma che sono sufficienti per un ballottaggio, che potrebbe davvero cambiare il futuro della Polonia.