Esteri

Etiopia, esercito federale libera zone occupate da Forze Speciali del Tigray

“È una guerra che sta portandosi via una generazione di giovanissimi tigrini arruolati per combattere e morire"

“Nelle città liberate”, spiega una donna Amhara, “c’è ovunque morte e distruzione, soprattutto a Kombolcha e Kemise”

L’esercito federale ha liberato le città occupate e saccheggiate negli scorsi mesi dalle forze speciali del Tigray. Il movimento #nomore cui hanno dato inizio ai primi di novembre le comunità espatriate eritree ed etiopiche, si sta espandendo. La sua è un’onda lunga che attraversa l’Africa per raggiungere l’Occidente. 

Un mese fa, ad un anno dall’attacco del Tplf (Tigray People’s Liberation Front) contro il governo di Addis Abeba, i media scrivevano che il premier Abiy Ahmed aveva le ore contate e che le forze ribelli erano in procinto di occupare la capitale etiopica, nuova Kabul. 

Affaritaliani è stato uno dei pochi giornali in controtendenza. Fonti attendibili in loco, contattate da noi in quei giorni, denunciavano che le informazioni sul presunto assedio della capitale erano parte di una violenta campagna messa in atto per destabilizzare il governo del primo ministro (leggi di più cliccando qui). La situazione reale era ben diversa dall’immagine allarmistica diffusa ovunque. 

Non solo Addis Abeba non era assediata, ma l’esercito federale in quegli stessi giorni stava preparando una risposta contro le incursioni del Tplf. Una decisione che ha coinvolto il premier sceso in campo insieme alle sue truppe. Nel frattempo le televisioni locali diffondevano video e notizie sconvolgenti sui crimini commessi dal Tplf contro le popolazioni Afar e Amhara, le due regioni invase.

Stupri, fucilazioni di civili, distruzioni di scuole e ospedali, razzie di apparecchiature mediche, furti di beni pubblici e privati. Vedere le città assediate e saccheggiate ha provocato un’ondata nazionale di sdegno che si è trasformata in una grande mobilitazione interna contro il Tplf, definito dal Parlamento gruppo terrorista

Un lungo elenco di città, da mesi in mano alle milizie Tplf , ritornano rapidamente sotto il controllo governativo, ultime in ordine di tempo, Woldiya, Kobo, Sanka, Sirkinka, Gobiye e Harat. 

“In un primo tempo si era chiesto all’esercito etiope di limitarsi alla difesa. In seguito, quando si è capito che il Tplf  aveva come obiettivo la destabilizzazione del paese, l’esercito ha deciso di contrattaccare utilizzando tutti i mezzi a disposizione.” Così dice Worede, da Addis Abeba, che aggiunge, “il 31 agosto le forze del Tigray sono entrate a Chena (ne avevamo parlato qui), compiendo uno scempio documentato da stampa e televisioni locali che invece l’Occidente ha a lungo ignorato”.

Tigray, Human Right Watch documenta stupri, omici e violenze del Tplf 

Il 9 dicembre, però, Human Rights Watch, in precedenza poco critica nei confronti del Tplf, pubblica un rapporto nel quale cita le testimonianze di molti civili, uomini e donne, che hanno assistito a omicidi, ruberie, stupri e altre nefandezze compiute contro popolazioni inermi. Un documento di orrori e atrocità commesse dai soldati del Tplf. Crimini di guerra, con l’utilizzo sistematico di scudi umani. A questo il movimento #nomore, mobilitato dalla diaspora etiopica in tutto il mondo, vuol mettere fine, dire basta. 

“Nelle città liberate”, spiega una donna originaria della regione Amhara, “c’è ovunque morte e distruzione, soprattutto a Kombolcha e Kemise”. 

Un video girato da una televisione locale nella regione Wollo mostra moltissime donne con bambini, anche neonati, accampate in quella che un tempo era una scuola secondaria, diventata ora rifugio per gli sfollati. La gente del Wollo si chiede fino a quando sarà costretta a spostarsi da un paese all’altro, fino a quando durerà l’emergenza che ha stravolto le loro vite. 

L’odio verso il Tplf è talmente palpabile che nei discorsi pubblici il premier Abiy invita la popolazione a distinguere tra partito del Tplf, che agisce con le proprie milizie, e la gente comune del Tigray. “Dobbiamo”, dice, “isolare e portare davanti a un tribunale i dirigenti del Tplf colpevoli di aver perpetrato violenza e crimini anche contro la propria etnia, che dicevano di voler tutelare. Bisogna invece sostenere i tigrini che vogliono vivere in pace con i loro fratelli etiopici ed eritrei. Loro vanno protetti dalle rappresaglie del Tplf che non tollera i tigrini che vogliono convivere serenamente con le altre etnie”. 

Solo negli ultimi mesi il Tplf ha causato centinaia di migliaia di sfollati nelle regioni Oromo, Amhara e Afar. Stime del  Ministero della Giustizia etiopico parlano addirittura di 1 milione e 400 mila sfollati, persone cui il governo dovrà ora dare assistenza. 

“È una guerra che sta portandosi via una generazione di giovanissimi tigrini arruolati per combattere e morire. La guerra finirà ma il Tplf come potrà spiegare alle madri tutte queste morti? Come potranno dire di non averle provocate e volute?” Si chiede Senait, di origine tigrina, sconvolta dal cinismo di quelli che pretendono di rappresentarla .

“Oggi”, dice, “per colpa loro mi vergogno di dire che sono tigrina. Sono dei criminali pronti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi. Non hanno a cuore noi tigrini, pensano solo al proprio potere, ai loro sporchi interessi”. “L’Occidente”, prosegue con enfasi, “non comprende che il Tplf non è un semplice movimento politico. Sono razzisti nei confronti degli Amhara e sono secessionisti. Vogliono l’indipendenza per costruire il Grande Tigray con l’annessione di territori eritrei e Amhara. Un progetto politico che destabilizzerebbe l’intero Corno d’Africa, con effetti devastanti in tutta l’Africa subsahariana’’. 

L'idea di secessione di Meles Zenawi, ex primo ministro di origine tigrina

Quest’idea di secessione non è una novità, era stata preparata con cura da Meles Zenawi, ex primo ministro di origine tigrina, così spiega l’attrice di origine etiope, Tezeta Abraham . 
“Nel 1991 Meles Zenawi, inserisce nella Costituzione il federalismo etnico, una scelta molto lontana dallo spirito di un Paese nel quale la gente si considera habesha, mescolanza di culture, meltng pot. Una decisione politica alla base della tragedia che stiamo vivendo ora”. “A Londra, nei giorni scorsi”, prosegue, “ho partecipato alla manifestazione #nomore, contro la guerra in Etiopia e contro il tentativo del Tplf di disgregarci. Eravamo tantissimi ed è stata un’ esperienza davvero emozionante”.

Tezeta, che vive in Italia fin da quando era bambina, porta con sé, oltre alla cultura occidentale italiana, le radici della sua famiglia di origine, di cui una parte è ancora residente nel sud dell’Etiopia. 

“Il problema di chi appoggia il Tplf”, spiega, “è quello di essere stati indottrinati sulla superiorità etnica. Un lavaggio del cervello attuato sia in Etiopia che per quelli in diaspora. Del resto che abbiano preteso, scrivendolo nella Costituzione, che sulle carte d’identità si indicasse l’appartenenza etnica dei cittadini, la dice lunga su quella scuola di pensiero…”. 

Tezeta, come molti degli etiopici intervistati in questo periodo, è fortemente critica nei confronti dell’attuale politica americana accusata di sostenere il Tplf per favorire un regime change, un cambiamento che avrebbe lo scopo di avvicinare l’Etiopia alle loro aspettative e ai loro interessi. 

Anche Yonas Tesfamichael, film maker eritreo vissuto a lungo in Italia e poi ritornato con la famiglia ad Asmara, spiega che il movimento #nomore è nato in opposizione all’ingerenza americana in Etiopia e in Eritrea. Per questo la sua diffusione nel mondo, soprattutto tra le generazioni più giovani, nei paesi d’origine e nella diaspora, è stata rapidissima. 

“#Nomore è un movimento spontaneo, pacifico che non è stato preparato a tavolino”, dice, “i molti che vi hanno aderito già ne condividevano lo spirito”. “Noi”, prosegue, “vogliamo essere indipendenti, che non ci siano interferenze straniere sui nostri destini. Abbiamo il diritto di guardare al futuro, di scegliere liberamente le alleanze. #Nomore è il grido di chi dice basta, basta a chi vuol scegliere per noi.

Basta alle ingerenze occidentali, da qualsiasi paese arrivino. L’onda di #nomore è lunga, va dal Sud Africa all’Europa, all’America,  per spazzare via l’idea che siano gli interessi privati, americani o europei, a governare gli eventi in Africa. Vogliamo fermare le campagne mediatiche che ci condannano, gli organismi delle Nazioni Unite che ci discreditano, le sanzioni economiche che ci ricattano. A tutto questo noi diciamo, basta #nomore”. 
@Marilena Dolce