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Esteri
Etiopia, Tigrai: uno scontro che l’Occidente fatica a comprendere
Asmara, 25 marzo arrivo del premier Abiy Ahmed, accolto all'aeroporto dal presidente Isaias Afwerki 

 “Sulla situazione del Tigrai va sottolineato che è l’Etiopia ad aver chiesto all’Eritrea di intervenire e nell’incontro di fine marzo Abiy ha detto che i loro due paesi devono restare uniti”. Il 5 aprile, infatti, pochi giorni dopo l’incontro di Asmara, il Ministero degli Esteri etiopico, con un comunicato stampa, esprime la propria gratitudine per l’appoggio militare eritreo contro l’attacco del Tplf. “Mentre il mondo sembra aver frainteso gli sforzi dell’Etiopia per riportare nel Tigrai legge e ordine, il popolo eritreo e il suo governo hanno capito la  situazione e ci hanno sostenuto”.

“L’Italia non può chiudere gli occhi”, chiede la comunità etiopica in Italia. Un appello che la diaspora etiopica in Italia vorrebbe che il nostro Paese portasse a Bruxelles.

Ma accadrà? Risponde il diplomatico Ue, “Certo l’Italia avrebbe potuto essere più presente nella questione del Tigrai. Però abbandonare il mainstream non è semplice…neppure l’Unione Europea l’ha fatto. Hanno detto invece che per fermare il massacro nel Tigrai, le parti, (ndr, Tplf e governo federale) avrebbero dovuto mettersi intorno a un tavolo per discutere. Senza capire che era come chiedere  al governo di Madrid, attaccato militarmente dalla Catalogna, di sedersi al tavolo e trattare. Poi va anche detto che nella Ue ci sono molte persone che conoscono bene i vecchi rappresentanti del Tplf che erano al governo con Meles Zenawi (ndr, primo ministro etiopico, dal 1991 alla morte, 2012). Gente considerata l’intellighenzia del Paese da cui per tanti europei è difficile prendere le distanze”.

Gli chiedo cosa pensi delle accuse rivolte agli eritrei sulle violenze che avrebbero fatto contro i civili tigrini.

“Per esperienza sono diffidente verso i rapporti internazionali. Tuttavia, in una guerra che ci siano orrori è purtroppo vero. Ho dubbi però che possano essere stati gli eritrei. Con la loro etica e con la disciplina militare che li caratterizza è difficile immaginare che si siano dati al saccheggio e allo stupro, come banditi sudanesi in Darfur. A questo racconto veramente non crede nessuno…”.

I motivi dell’intervento eritreo in Etiopia sono legati sia alla storia sia alla geografia dei due Paesi.

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Quando negli anni Settanta i guerriglieri eritrei ed etiopici combattevano contro il feroce regime del colonnello Menghistu Hailè Mariam, era il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo che andava nel Tigrai per lottare a fianco dei guerriglieri tigrini. Erano gli eritrei i soldati più forti. E del resto sono loro, gli eritrei del Fronte, ad entrare nel 1991 ad Addis Abeba per liberare la città e cacciare il governo di Menghistu.

“Anche stavolta”, spiega il mio interlocutore, “gli eritrei sono stati molto importanti nella lotta di Abiy contro il Tplf.  Questa è una considerazione che fanno in molti all’interno della Ue. Inoltre, ricordiamo, è il Tplf ad aver cercato di allargare il conflitto sparando razzi su Asmara. Tutti da mesi sapevano che i tigrini si stavano preparando all’attacco, che stavano assembrando armi e truppe sul confine. Questo è anche uno dei motivi per cui la frontiera tra Tigrai ed Eritrea non era stata ancora aperta”.

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