Esteri

George Floyd e quella violenza sistemica sui corpi degli afroamericani

La rabbia degli afroamericani attraverso le parole della scrittrice italo-somala Igiaba Scego

George Floyd: l'ennesima vittima di una violenza sistematica sui corpi

Sesto giorno di proteste e violenze negli Stati Uniti, dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis. La rabbia degli afroamericani si è allargata ad altre città e non arresta a fermarsi. Disordini si sono registrati anche davanti alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump e la sua famiglia sono stati evacuati in un bunker sotterraneo. Ma qual è l’origine di questa protesta? E perché ci riguarda tutti? Ne parla Igiaba Scego, scrittrice italo somala,  da poco nelle librerie con il suo ultimo libro La linea del colore. "Ho visto moltissime persone colpite, come me, da quanto è successo. Siamo colpiti come neri. Si tratta di una violenza sistematica sui corpi, George Floyd è solo l’ultima persona ad aver subito questo tipo di violenza: c’è chi è stato ucciso perché faceva jogging, chi perché aveva il cappuccio, chi per altri futili motivi. C’è una linea sottile, lunghissima, che unisce questi corpi ai corpi distrutti dalla schiavitù, come ricorda Colson Whitehead in “La ferrovia sotterranea”. Ancora oggi quei corpi non si sono mai affrancati dal passato di sottomissione, è una schiavitù più evoluta, ma che continua nel linciaggio e in queste morti sistemiche: non importa il motivo, distruggono il tuo corpo perché sei nero".

L'intervista a Igiaba Scego

Lei ha scritto che capisce la paura che qualcuno possa farti del male per il colore della pelle.  Ma che al tempo stesso sente di non conoscerla del tutto. Perché?

Da somala e italiana sento una differenza, credo sia importante e fondamentale stare accanto alla battaglia dei fratelli e delle sorelle afroamericani che in questo momento stanno manifestando, senza appropriarsi però della loro lotta. So chi sono i miei antenati, so che sono Tunni, so che non hanno conosciuto la schiavitù. Un afroamericano non sa chi sono i suoi antenati, li hanno portati in ceppi sulle navi, dispersi, violentati, massacrati. Linciaggi e umiliazioni che continuano ancora oggi. Anche per questo credo non possiamo capire fino in fondo. Inoltre è azzardato il paragone con altre morti avvenute per mano della polizia, qui in Italia e in generale in Europa. Io che sono nera so che quella è una violenza diversa, non meno atroce ma diversa. E’ necessario contestualizzare e storicizzare quello che sta accadendo. E’ una violenza che ha una storia lunghissima alle spalle. 

C’è, dunque, una specificità in questa protesta che non ha paragoni in altri contesti. 

Esattamente. Quello che succede lì è sistemico, ha radici profondissime. La schiavitù è alla base della nascita della nazione americana, si tratta di un paese creato sulle ossa degli schiavi. Conoscere la storia è fondamentale. Dovremmo imparare anche noi da quello che sta succedendo: molti dicono che qui il razzismo non esiste. Non è la stessa violenza, certo, ma qui c’è un altro tipo di violenza agita sui corpi, anche noi abbiamo avuto i nostri martiri, persone uccise dal razzismo, ma la genesi è differente. A questo si aggiunge la violenza istituzionale: è violenza non dare la cittadinanza, non riconoscere i diritti, sfruttare il lavoro degli altri. La differenza storica tra quello che accade qui e ciò che accade negli Stati Uniti non può dare un alibi agli  europei per sentirsi migliori. In Europa c’è un passato di colonialismo, inflitto all’Africa e all'Asia. I fantasmi coloniali sono fantasmi reali, ancora oggi si agisce sui corpi classificando le persone come di serie a e di serie b. Il fatto che siano due storie diverse non dà diritto a una presunzione d’innocenza. Purtroppo molti europei non conoscono la storia coloniale e questo è un problema. Insieme al fatto che manca una reale presenza nera nelle università, nei giornali, nella politica. Come pretendiamo che cambi il discorso altrimenti? Serve una reale rappresentanza, non solo una verniciata di colore, per cambiare il discorso delle nazioni.

A Minneapolis, dove è avvenuta l’uccisione di George Floyd c’è un’importante comunità somala, ci sono anche alcuni suoi parenti. Come stanno vivendo quello che accade lì?

Per i somali il colore della pelle è un fattore complesso. Per lungo tempo non hanno sentito di appartenere al mondo africano ma più a quello arabo. A Minneapolis, ci sono quasi 69 mila somali, la città è sempre stata accogliente e anch’io mi aspettavo una violenza come questa in una città del sud, ma non lì. C’è un sindaco, Jacob Frey, molto attento che ha fatto un discorso importante dopo la morte di George Floyd sottolineando  400 anni di dolore. Anche i somali, che per molti anni sono stai lontani dalle lotte afroamericane stanno cambiando atteggiamento. C’è stato un caso di un ragazzo somalo ucciso dalla polizia, qualche tempo fa:  in quell’occasione hanno capito di essere neri. Ora i miei cugini più giovani stanno partecipando alle manifestazioni, fanno cartelli di solidarietà. In America capisci di essere nera, capisci di essere dentro un sistema coercitivo, lo ha spiegato nei suoi libri anche Chimamanda Ngozi Adichie.

La protesta è ormai arrivata in diverse città e alle rivendicazioni degli afroamericani si stanno aggiungendo altre richieste. 

E’ una protesta di classe, è tante proteste insieme. C’è una protesta sulla violenza agita sui corpi degli afroamericani e sul razzismo in generale. Ma ci sono anche molti ispanici che stanno partecipando, insieme a molte persone di sinistra e progressiste. E’ diventata trasversale anche nella modalità: ci sono donne bianche che hanno fatto cordone per difendere i manifestanti, c’è un'alleanza che ricorda le marce anni ‘60, come quelle di Martin Luther King. E’ una lotta per i diritti civili, anche per questo l’eco è così grande. Ed è l’unica cosa da fare considerando che alla Casa Bianca c’è Trump che è contro ogni tipo di diritto. 

 

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