Esteri
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Il Cavaliere possiede una dote rara: l'umanità, intesa come empatia nei confronti dei propri simili, condivisione di pregi e difetti popolari
Noi esseri umani non siamo che una tra le molteplici forme della vita. Per noi, romantici cresciuti nel culto della virtù dell’eroismo, la bellezza della vita umana, la sua piena realizzazione, può compiersi in un singolo atto di eroismo. Tuttavia, siamo in grado di distinguere tra veri e falsi eroi, non ci lasciamo portare fuori strada dalle esagerazioni dei cattivi giornalisti, per i quali chiunque compia il suo lavoro scrupolosamente diventa un eroe. Nossignori, non è così.
Il nostro modello di eroe è Ethan Edwards (John Wayne) in ‘Sentieri selvaggi’, che per anni insegue i Comanche per riportare a casa la nipote Debbie, rischiando la propria vita.
Noi, forse ingenui, siamo cresciuti sognando la nostra entrata in scena trionfale, l’istante che avrebbe rivelato – a noi stessi e al mondo – che eravamo coraggiosi, capaci di quell’unico gesto di eroismo che solo avrebbe dato un significato alla nostra vita mortale.
Naturalmente, ogni eroe vive quell’attesa come una noia e questa è la sua croce. Come Giovanni Drogo, il protagonista de ‘Il deserto dei tartari’, il rischio è attendere passivamente, sprecare la vita nell’attesa di qualcosa che potrebbe non giungere mai. Alla fine di una vita sprecata, senza un atto di eroismo non vi è riscatto possibile: noi non la pensiamo come Dino Buzzati, non ci basterebbe come consolazione il pensiero di morire con dignità. Noi vorremmo morire martiri per aiutare il prossimo. No, non siamo passivamente inetti: nell’attesa della nostra occasione, facciamo del nostro meglio per ingannare il tempo e, soprattutto, per migliorarci.
“Poiché il suo corpo è condannato a morte, il suo compito sulla Terra evidentemente deve essere più spirituale: non un totale accaparramento di beni nella vita quotidiana, non la ricerca di modi migliori per ottenere beni materiali e quindi non la spensieratezza con il loro consumo.