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Esteri
Guerra a Gaza, ecco perché la Grande Israele è una impossibilità
Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele

Non prevarranno”. Perché Eretz Israel, la Grande Israele, è una impossibilità


La dichiarazione a sorpresa fatta venerdì dal presidente Biden ha spiazzato tutti e, come ha lui stesso sottolineato, costringe i due attori, Hamas e il Primo ministro Israeliano, a scoprire le carte e dichiarare apertamente il loro gioco. La nuova proposta per un cessate il fuoco, quasi una fotocopia di quella che il 6 maggio scorso Hamas aveva accettato e Netanyahu rifiutato, nella prima fase prevede due mesi due mesi di tregua che potrebbe diventare definitiva nella seconda. Biden ha detto che arriva da Israele. A giudicare dalle reazioni dello Stato ebraico e del suo Governo non sembrerebbe che le cose stiano così. Netanyahu ha subito fatto sapere, come d’altra fa da mesi di fronte a qualunque spiraglio possa aprirsi sul fronte di Gaza, che “la guerra continuerà anche dopo la conclusione del contratto degli ostaggi fino alla completa distruzione e annientamento di Hamas”. D’altro canto, per Yahya Sinwar, leader di Hamas a Gaza, non può esistere un accordo “senza l'impegno a porre fine completamente a tutti i combattimenti”.

La mossa di Biden sembra una tattica politica per mettere tutti con le spalle al muro davanti al mondo. Tuttavia, visti i risultati, ci troviamo di nuovo in un vicolo senza uscita. O meglio, l’uscita c’è ma non è quella giusta, dal momento che Israele insiste sull’annientamento totale, sempre e comunque. In questo groviglio di conflitti, interessi contrastanti, obiettivi dichiarati e sommersi, e sommovimenti mondiali che stanno ridisegnando equilibri e schieramenti, abbiamo chiesto al filosofo e antropologo Giancarlo Vianello, esperto di dinamiche transculturali, autore di numerosi volumi, l’ultimo dei quali “Contaminazioni”, pubblicato da Mimesis nel 2023, di aiutarci a fare un po’ di chiarezza.

Da buon veneziano, nel suo ultimo libro, valicando tutti i confini, compie un viaggio attraverso un crogiolo di correnti filosofiche e sapienziali che si intersecano, si influenzano e si fecondano a vicenda. E lo fa all’interno di un’area amplissima e un tempo plurisecolare. Questo suo decennale e ininterrotto viaggio fra Oriente e Occidente, le ha permesso di maturare una sua opinione sulle radici dell’ormai quasi secolare conflitto israelo-palestinese, culminato nell’ultima tragica e sanguinosa guerra di Gaza. Alla luce della sua esperienza, come interpreta le ormai dichiarate volontà da parte del Governo israeliano in carica, e di una parte sempre più consistente della società civile, soprattutto i coloni, di espellere i palestinesi e annettersi sia Gaza che la Cisgiordania realizzando così il disegno Biblico della Grande Israele?

Prendiamo a prestito l’espressione evangelica non praevalebunt per riaffermare, se ancora ve ne fosse bisogno, l’impossibilità di realizzare il disegno biblico-ideologico del Sionismo. Eretz Israel, la Grande Israele, è una impossibilità. Se, come sarebbe auspicabile per ogni persona dotata di buon senso, si tornasse agli accordi di Oslo e ai due stati, Israele sarebbe piccolo, ma ebraico e democratico: quindi si perde “grande”. Se invece Israele annettesse i territori occupati e desse la cittadinanza ai Palestinesi, sarebbe grande, democratico ma non più ebraico, in quanto gli equilibri demografici lo impedirebbero. Rimane l’opzione cara al delirio criminale della purtroppo maggioranza dei sionisti: far scomparire alcuni milioni di Palestinesi. La cosa oltre che eticamente abietta, e contraria a qualunque forma di democrazia, è semplicemente impossibile.

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Il conflitto in corso a Gaza da ormai 8 mesi ha causato devastazioni apocalittiche, un numero di vittime civili di proporzioni mai raggiunte prima e quel che è peggio non se ne vede la fine.

Sembra la struttura di una tragedia greca: Hybris, Ate, Katastophē. Un peccato originario che viola l’armonia cosmica, al quale gli dei reagiscono inviando Ate, l’accecamento che impedisce di rendersi conto del proprio delirio e porta alla catastrofe. Paradossalmente, sono le proteste per l’orrore di Gaza che giovano a Israele, nella misura che cercano di farlo rinsavire. E, paradossalmente, è il furore ideologico, e spesso opportunistico, di chi incoraggia sulla via della disumanizzazione e dello sterminio dei Palestinesi, che avvita sempre più Israele in una spirale autodistruttiva.

Netanyahu dice di voler sterminare i terroristi di Hamas, tuttavia sta sterminando una popolazione. Ma chi è Hamas?

La situazione, oltre che tragica, è estremamente complessa ed è difficile ipotizzare come si evolverà. Tuttavia, sarebbe opportuno fare chiarezza su alcuni punti su cui la narrazione ufficiale sorvola. Hamas originariamente era una associazione impegnata nel sociale e legata ai Fratelli Mussulmani ed è stata supportata da Israele per dividere il mondo palestinese, in modo che non vi fosse un interlocutore con cui trattare e così mantenere lo status quo. Solo con il tempo si è trasformato in milizia armata e, per il diritto internazionale, è legittimata alla resistenza armata contro l’invasore (ricordiamo che il controllo dei confini e delle attribuzioni di una realtà sovrana è considerata dal diritto internazionale occupazione). Detto questo, Hamas ha commesso gravi crimini di guerra e giustamente la corte internazionale dell’Aia ha richiesto ordini di cattura per i suoi leaders.

L’ultima proposta, lanciata a sorpresa da Biden, prevede una tregua in tre fasi nel corso delle quali dovranno essere rilasciati gli ostaggi israeliani e migliaia di prigionieri palestinesi, molti dei quali sono bambini.

Gli ostaggi che sono stati rapiti devono essere immediatamente liberati. La loro prigionia è intollerabile. Simmetricamente dovrebbero essere liberate le migliaia di persone che sono detenute nelle carceri israeliane in condizioni orribili, senza accuse o processo ma per semplice ordinanza delle autorità militari di occupazione. Tra di loro sono presenti circa 800 minori, alcuni dei quali condannati dalle autorità militari di occupazione a cinque anni per aver lanciato pietre contro i carri armati.

Malgrado le evidenti violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità collezionate da Israele fin dalla sua nascita, fra le quali rientrano anche quelle perpetrate all’interno delle carceri, dove le torture e le umiliazioni sono all’ordine del giorno, tutti concordano nel dire che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente.

È un mito che va sfatato. Israele non è una democrazia. Nell’area sotto il suo controllo vivono milioni di Palestinesi che non hanno diritto a una rappresentanza. Fino a quando non si sarà messo in essere rimedio non si può parlare di democrazia: ricorda la democrazia del Sud Africa in cui votavano solo i bianchi. Gli arabo-israeliani hanno diritto di voto, ma sono il 20% della popolazione e quindi ininfluenti. Altra cosa sarebbe concedere diritto di voto a tutti Palestinesi compresi quelli dei campi profughi, come Sabra e Chatila. La soluzione migliore sarebbe che Israele tornasse a essere una realtà piccola, ebraica e democratica e rinunciasse al delirio criminale di far scomparire milioni di Palestinesi, che da millenni vivono in quei luoghi, per impossessarsi delle loro terre. Eliminarli, cacciarli dai loro territori darebbe vita a una diaspora di palestinesi nel mondo che, paradossalmente, finirebbero con l’introiettare l’antico adagio ebraico: quello di ripetere, ogni capodanno, “l’anno prossimo a Gerusalemme”.






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