Esteri

Israele si illude, senza il cessate il fuoco Hamas non rilascerà gli ostaggi

di M. Alessandra Filippi

Che cosa accade nonostante l'uccisione di Sinwar

Fine guerra mai. Per Netanyahu “la guerra continua fino alla vittoria”. Per Hamas, che Israele si illude di aver decapitato nella leadership, dimenticando che un’idea non si decapita, il rilascio degli ostaggi è subordinato al cessate il fuoco



Il fatto che sotto gli occhi di tutti Netanyahu si senta libero di continuare ad annientare i palestinesi, a Gaza come in Cisgiordania, e bombardare senza sosta uno stato zoppo ma sovrano come il Libano, dovrebbe terrificarci tutti. Quelli che s’illudevano, o fingevano di credere, che l’uccisione di Sinwar avrebbe fatto la differenza sono serviti, la realtà è in tavola: brandendo Hamas come giustificazione, Israele procede nello sterminio di un popolo. Solo ieri sera, in un unico devastante bombardamento a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, sono stati massacrati 73 palestinesi, centinaia i feriti. L’Ufficio stampa del governo di Gaza avverte che molti sono ancora intrappolati sotto le macerie; dunque, il bilancio delle vittime è destinato a crescere. I dettagli dell’attacco notturno a Beit Lahiya stanno lentamente emergendo nel contesto di un blackout delle comunicazioni nel nord di Gaza, da 16 giorni nella morsa dell’assedio militare israeliano che ha interrotto l’accesso a cibo, acqua, medicine e servizi vitali per i residenti intrappolati. Anche nel Sud della Striscia la strage continua. Sono oltre 25 i civili palestinesi morti negli attacchi di ieri. Oxfam afferma che un uno di questi ha ucciso quattro ingegneri idraulici e lavoratori che viaggiavano per riparare delle infrastrutture vicino a Khan Younis. 

In Israele non c’è quasi nessuno che sappia quel che accade oltre la cortina di ferro stesa dalla propaganda. Il magazine +971 lo ha definito “Il patto del silenzio fra gli israeliani e i loro media”. Da tempo sottomessi, hanno trascorso questi ultimi 13 mesi a “infondere nel pubblico un senso di rettitudine sulla guerra di Gaza”. Secondo Oren Persico, veterano giornalista israeliano il cui lavoro è stato monitorare i media, invertire questo indottrinamento potrebbe richiedere decenni. “Non riesco più a guardare le notizie. È deprimente e irritante. E propaganda zeppa di bugie. Per lo più un'immagine speculare della società in cui vivo”. Stesso discorso vale per la stampa mainstream in Occidente.

Per questo non bisogna smettere di denunciare e raccontare quel che accade in Palestina. Le battaglie combattute con la penna come spada e le idee come scudo, si sa, faticano a farsi strada fra le erte massicciate della propaganda, ma non per questo bisogna arrendersi alle posture littorie di chi vorrebbe silenziarle, e con loro far tacere ogni dissenso. 
 
Propaganda e storytelling costruiti in oltre un secolo di laborioso e indefesso lobbismo e marketing del linguaggio, hanno garantito ai sionisti, della prima e ultima ora, posti chiave nei quali sono stati collocati fedeli sherpa del messaggio. Narrazioni irrigate col veleno dell’inganno, erogate per mezzo di fiumi di carta, libri, video, cinema, documentari, interviste e tutti gli altri infiniti campi dell’informazione, oggi si sono perfezionate al punto da manipolare ogni fatto in tempo reale, instillando il dubbio che la realtà sia finzione e la finzione verità. Orwell l’aveva predetto nei suoi distopici romanzi. Quando consegnò 1984 ai suoi editori, Fredric Warburg disse “è tra i libri più terrificanti che abbia mai letto”. Terrificante, tanto quanto questo eterno presente, nel quale ogni mattina è uguale all’altra, e ogni notte è una promessa di morte. Il sadismo israeliano sarà studiato nei manuali di psichiatria, oltre che di storia: gli attacchi aerei più micidiali avvengono al buio, quando i braccati sopravvissuti vorrebbero dormire. Così da far svegliare quelli che osservano con i bollettini di morte provocati la notte precedente. Meglio delle offerte paghi due porti via tre: mentre bombardi gli uni per sterminarli, massaggi gli altri per educarli.

Controverso per alcuni, quasi un guru per altri, Orwell ci ha messi in guardia e con largo anticipo ci ha esortati a non credere alle favole; a mantenere vigili e allenati la coscienza e lo spirito critico; a dubitare del nostro stesso pensiero perché, a sua volta, “potrebbe essere condizionato da un linguaggio costruito ad arte – nel suo romanzo è la “neolingua” - per incarcerare/sedurre la nostra mente con le conseguenti devastazioni che il sonno della ragione provoca”. Devastazioni nelle quali siamo già tutti indistintamente immersi. A partire da quelle dei principi giuridici e umanitari, nati sulle macerie fumanti e insanguinate della Seconda Guerra Mondiale. Israele ci è passato sopra con i cingoli dei suoi carri armati e la protervia del suo arrogante disprezzo verso le leggi degli altri. Li ha neutralizzati con 88mila tonnellate di esplosivi riversati sulla Striscia di Gaza, rendendoli lettera morta. Li ha fatti a pezzi. Come gli oltre 150.000 palestinesi massacrati, dispersi e uccisi. Ai quali si aggiungono le migliaia di bambini sotto i 15 anni mutilati, storpiati, annientati, nel corpo e nello spirito. 

Quando Israele avrà raggiunto la decimazione di Gaza, avrà firmato la sua condanna a morte. E con lui gli Stati Uniti, maggiordomo d’Israele, e l’Europa, valletta di entrambi. Lo scrittore e giornalista americano Chris Lynn Hedges, per decenni corrispondente in Medio Oriente, Netanyahu e il suo governo hanno come scopo la creazione di Eretz Israel, la “Grande Israele”. Per ora dal fiume Giordano al mar Mediterraneo; in futuro dall’Eufrate al Mediterraneo. Per una frangia messianica estremista del governo tutta quell’area geografica è destinata a diventare un unico grande stato ebraico. Già adesso, dopo 13 mesi di atrocità mai viste prima, la facciata di civiltà, il presunto ostentato rispetto per lo stato di diritto e la democrazia, la storia mitica del “coraggioso esercito israeliano” e della “nascita miracolosa della nazione ebraica”, definita da Hedges “favole vendute con successo al pubblico occidentale”, giacciono sotto cumuli di cenere. 

E se è vero che mezzo mondo è complice del genocidio in corso dei palestinesi, è vero anche che l’altra metà ha ben chiaro, che Israele è di fatto uno Stato teocratico, basato su politiche di apartheid; dove repressione, odio e deumanizzazione dei nativi sono la normalità. “Uno Stato sostenuto da sionisti reazionari e da fascisti cristianizzati d'America che vedono il dominio di Israele sull'antica terra biblica come un presagio della Seconda Venuta, e nella sua sottomissione degli arabi identificano un razzismo e una celebrazione della supremazia bianca che gli è affine”. Quel che resta a Israele, assiso sulla vischiosa collina del disonore creata dai crimini e dal sangue fatto scorrere nei suoi 76 anni di esistenza, è una crescente ferocia che continua a dispensare sotto gli occhi di tutti ignorando che ogni assassinio, come un boomerang, gli si ritorcerà contro accelerandone il declino. 

Secondo Hedges, “Questa violenza all'ingrosso funziona nel breve termine, come è successo nella guerra condotta dai francesi in Algeria; nella Guerra Sporca condotta dalla dittatura militare argentina; nell'occupazione britannica di India, Egitto, Kenya e Irlanda del Nord; e nelle occupazioni americane di Vietnam, Iraq e Afghanistan. Ma nel lungo termine, è suicida. I nazisti hanno spedito le loro vittime nei campi di sterminio. Gli israeliani le hanno spedite in squallidi campi profughi fuori da Israele”. Lo hanno fatto nel 1948-1949, nel 1967, e vorrebbero farlo adesso. Come Hitler 80 anni fa, oggi Netanyahu parla di “New Middle East”, di razza benedetta e razza dannata. Il suo governo e i vertici dell’esercito non fanno più mistero dei loro piani. I palestinesi saranno spinti alla disperazione; quei pochi che sopravviveranno dovranno scegliere: o morte certa o deportazione. Oggi, come 80 anni fa, Israele descrive l'espulsione di massa delle loro vittime come migrazione "volontaria". Anche quella del ghetto di Varsavia fu stata descritta così dai tedeschi. 

Quando i soldati israeliani sparano direttamente alle gambe e alla testa dei bambini, pratica consolidata in decenni di criminale occupazione, annientano il futuro di un popolo. Lo sterilizzano. Chiunque sopravviva, se mai sopravviverà, al genocidio in corso a Gaza e in Cisgiordania, ha buone probabilità di diventare uno psichiatrico, un disgraziato la cui mente sarà condizionata e devastata dal trauma di questa sporca lurida mattanza che tutti impropriamente chiamano guerra. Per Netanyahu “si continua a combattere fino alla vittoria”. Per Hamas, che Israele si illude di aver decapitato nella leadership, dimenticando che un’idea non si decapita, il rilascio degli ostaggi è subordinato al cessate il fuoco. E comunque, morto un leader se ne fa un altro. E un altro. E un altro.

In questo mortifero rituale che si ripete, in questa lunga notte della ragione, nel bel mezzo di questa carneficina legalizzata che la gente guarda come fosse un reality show, si sta consumando la catastrofe dell’Umanità. “Mai più” non è un imperativo categorico di esclusiva proprietà ebraica. O vale per tutti oppure per nessuno. Tertium non datur.

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