Esteri

Israele, soldi a fiumi dall’Europa mentre la macelleria umana non si ferma

Dal 7 ottobre 2023 organizzazioni israeliane, alcune legate all'esercito, hanno ricevuto più di 250 milioni di dollari

di M Alessandra Filippi

Israele: fondi a fiumi dall’Europa mentre la macelleria umana accelera

Lo scellerato attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha segnato l'inizio di un conflitto che in meno di 14 mesi ha portato alla distruzione totale della Striscia e sconquassato l’intero Vicino e Medio Oriente. Fin dalla prima ora, la devastante risposta israeliana è stata sostenuta dagli USA e dall'Unione Europea. Da allora, entrambi non hanno mai smesso di ribadire che Israele “ha il diritto di difendersi”.

Assodato questo immarcescibile adagio, a differenza del sostegno cieco, sordo e munifico degli americani, erogato alla luce del sole, da questa parte dell’Atlantico, nella sottile linea dell’orizzonte comunitario, si nascondono scelte opache, avvolte da una luce crepuscolare, quasi notturna. Mi riferisco al sostegno fornito dalla UE a Israele, una realtà che solleva ciclopici interrogativi morali e politici.

Secondo un'inchiesta di Al Jazeera, dal 7 ottobre 2023 l'Unione Europea ha finanziato varie istituzioni israeliane per un valore di oltre 238 milioni di euro. Tra i beneficiari, ci sono anche grandi aziende, come la Israel Aerospace Industries (IAI), che produce tecnologie militari e fornisce equipaggiamenti all'esercito israeliano. Solo la IAI ha ricevuto 640.000 euro dal programma Horizon, il principale strumento di finanziamento dell'UE per la ricerca e l'innovazione.

Sebbene il programma Horizon stabilisca che i fondi siano destinati solo a "progetti civili", è ampiamente riconosciuto che molte delle tecnologie sviluppate dall’IAI, come altre, abbiano applicazioni civili e militari. Dettaglio non di poco conto e che avrebbe dovuto sollevare, fra chi decide a Bruxelles, ben più di una domanda.

In risposta alla latitanza da parte dei funzionari europei, a preoccuparsi ci hanno pensato oltre 2.000 accademici e 45 organizzazioni europee, che hanno firmato una petizione chiedendo la sospensione dei finanziamenti a istituzioni israeliane legate al settore militare. Tuttavia, finora le richieste sono rimaste senza risposta, alimentando un senso di disillusione riguardo alla capacità dell'UE di mantenere una politica integra e coerente in relazione ai diritti umani e alla giustizia.

Un'ulteriore riflessione critica riguarda il fatto che, secondo le leggi europee, l'UE non dovrebbe finanziare paesi che sono impegnati in conflitti bellici. L'articolo 21 del Trattato sull'Unione Europea stabilisce che l'Unione deve rispettare i diritti umani in tutte le sue azioni esterne, e non solo evitare di sostenere regimi violenti, ma anche adottare politiche che impediscano il finanziamento di guerre. In questo contesto, il sostegno europeo a Israele durante un conflitto in corso a Gaza potrebbe rappresentare una grave violazione di tale principio.

Nel frattempo, la situazione sul terreno continua a deteriorarsi. I numeri parlano da soli: secondo il ministero della Salute di Gaza, sono oltre 45.300 le vittime tra i palestinesi. Medici Senza Frontiere, in un rapporto pubblicato lo scorso 17 dicembre 2024, ha denunciato "chiari segnali di pulizia etnica", con civili costretti a lasciare le loro case, intrappolati e bombardati. Il rapporto documenta attacchi contro il personale di MSF e sottolinea la riduzione drastica delle consegne di aiuti umanitari a causa dell'assedio imposto a Gaza Nord.

Il 19 dicembre, Human Rights Watch ha rilasciato un rapporto intitolato "Gaza: vita in una trappola mortale", in cui accusa le autorità israeliane di aver deliberatamente creato condizioni che hanno portato alla distruzione di una parte della popolazione di Gaza, privando i civili di un adeguato accesso all'acqua, cibo, luce e altri beni essenziali, causando migliaia di morti. HRW sostiene inoltre che queste azioni costituiscono crimini contro l'umanità di sterminio e atti di genocidio.

La violenza non si limita a Gaza. In Cisgiordania, i coloni israeliani, supportati e protetti dalle forze armate israeliane, hanno intensificato gli attacchi contro la popolazione palestinese. Ieri una banda di coloni ha appiccato un incendio nella moschea Bir al-Walidain nel villaggio di Marda, nel nord della Cisgiordania. La polizia israeliana ha avviato un'indagine sull'incidente, ma le probabilità che vengano rintracciati e puniti i colpevoli sono pari a quella di trovare un ago in un fienile.

In un simile contesto di impunità, la vita quotidiana dei palestinesi si è trasformata in una lotta per la sopravvivenza, con un numero crescente di bambini palestinesi uccisi o feriti dalle forze israeliane e dai coloni. Dal 7 ottobre 2023, il numero di bambini uccisi o feriti in Cisgiordania è raddoppiato. Secondo i dati forniti da Save the Children, almeno 170 bambini sono stati uccisi e oltre 1.400 feriti, con una media di cinque bambini colpiti al giorno. L'UNICEF ha riportato che, dallo stesso periodo, 143 bambini palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, con un incremento del 250% rispetto ai nove mesi precedenti. Secondo Amnesty International, le forze israeliane sono responsabili di attacchi diretti contro civili palestinesi, inclusi attacchi a scuole e ospedali, che costituiscono gravi violazioni delle leggi internazionali.

A Jenin, un'altra zona calda della Cisgiordania, la situazione è altrettanto grave. Le forze di sicurezza dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), per contrastare le azioni della resistenza palestinese e mantenere un minimo di ordine, hanno avviato operazioni contro i gruppi palestinesi ribelli, utilizzando veicoli blindati e mettendo in atto incursioni nelle case, arrestando combattenti e sparando alla gente per strada. Tutto questo avviene mentre Israele minaccia di annettere la Cisgiordania. L'assurdità è palese: l'Autorità Palestinese, che dovrebbe difendere i suoi cittadini dalle aggressioni esterne e interne, finisce per attaccare la propria popolazione, negandole la protezione fondamentale contro le forze israeliane, siano esse coloni o esercito.

Questa condotta non solo è profondamente incoerente, ma appare anche come un cortocircuito istituzionale, una forma di collusione tra l'autorità e gli aggressori, che alimenta il senso di sconcerto e impotenza che circonda l'ANP. L'Autorità Nazionale Palestinese, ormai un relitto di quel che non potrà mai più essere, si aggrappa disperatamente a un potere che non ha più e che non sa più come esercitare.

Fino a quando non ci sarà un rinnovamento politico e della classe dirigente, la Palestina continuerà a essere bloccata in questa spirale di violenza e impotenza. Nel contesto di tutte queste molte contraddizioni, introdotte dagli uni e dagli altri, almeno per noi torna utile ricordare quanto stabilito dall'articolo 2 del Trattato sull'Unione Europea, che recita: "L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, comprese i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.

Alla luce di tutto questo, la continua erogazione di fondi a un paese coinvolto in un conflitto bellico, come Israele, appare sempre più come un disallineamento rispetto ai valori su cui l'Unione Europea afferma di basarsi. L’UE non può ignorare il suo ruolo in questa dinamica, nel farlo, rischia di compromettere la sua stessa credibilità, interna ed esterna, come difensore dei diritti umani e della pace.

Nel continuo flusso di denaro che dall'Unione Europea alimenta la macchina bellica israeliana, si cela una domanda cruciale: quale futuro ha l'Europa come difensore dei diritti umani e della pace, se le sue azioni sostengono, piuttosto che contrastare, un conflitto che ne mina i principi fondamentali? Se non sarà capace di rispondere a questa sfida, l'Europa rischia di vedere svanire la sua stessa credibilità, sacrificata sull'altare di un supporto senza condizioni a una guerra che va ben oltre il diritto alla difesa.