Esteri

La Groenlandia punta a un’indipendenza lenta e slegata da Trump

Le mire del presidente Usa, interessato alle terre rare dell’isola, si devono scontrare con la volontà della popolazione, critica nei suoi confronti

di Francesco Crippa

La Groenlandia punta a un’indipendenza lenta e slegata da Trump

Il day-after del voto in Groenlandia è segnato da un grande interrogativo: e ora, che succederà? Alle elezioni hanno vinto i Democratici, partito di centrodestra che punta a raggiungere nel medio-lungo periodo l’indipendenza dalla Danimarca. Il successo del Naleraq, partito nazionalista che vuole la secessione subito ed è favorevole a una maggiore intesa con Donald Trump, rischia però di complicare le cose.

Proprio il presidente degli Stati Uniti è l’osservato speciale numero uno. Fin da quando è stato rieletto ha espresso più volte l’intenzione di annettere la Groenlandia e non ha mancato di farlo a ridosso delle elezioni. “Abbiamo bisogno delle Groenlandia per la sicurezza nostra e internazionale”, ha detto la scorsa settimana. “In un modo o nell’altro l’otterremo”, ha aggiunto con un sorriso che fa assomigliare la frase a una battuta. In cambio, ha promesso ai cittadini dell’isola: “Vi faremo ricchi”.

A fare gola a Trump è la ricchezza di risorse naturali di cui dispone l’isola, nello specifico di terre rare, sempre più fondamentali nella competizione strategica su scala globale con Russia, Unione europea e soprattutto Cina. Anche Pechino, infatti, ha messo gli occhi sulla Groenlandia, garantendosi i diritti di estrazione in diverse miniere. L’obiettivo di Trump è, in primo luogo, quello di evitare che quelle risorse cadano in mano cinese e, in seconda battuta, accaparrarsele. In particolare, la Groenlandia è ricca di uranio.

Uno dei giacimenti principali, quello di Kvanefjeld, è oggi chiuso a causa dei timori di disastri ambientali, ma fino allo stop era gestito proprio dalla Cina. Per quanto riguarda le terre rare, secondo il Dipartimento di Stato Usa sotto al ghiaccio dell’isola ci sono 43 dei 50 materiali fondamentali per l’economia del futuro.

Un altro motivo per cui la Groenlandia è strategica è la sua posizione. Con lo scioglimento dei ghiacciai, infatti, potrebbero aprirsi in futuro nuove rotte marittime e l’attività della Russia, in questo senso, è già avviata. Come ha spiegato al Corriere della Sera la professoressa di Economia dell’Università di Bari Angela Stefania Bergantino, esperta di geopolitica e di Groenlandia, la gestione dell’Artico è affidata a un organismo internazionale, ma a predisporre le rotture dei ghiacci e a gestire i traffici commerciali è sempre Mosca, con il grande vantaggio di «beneficiare economicamente dei dazi di passaggio». Insomma, un altro grattacapo che Trump vorrebbe aggirare.

Già durante il suo primo mandato il presidente statunitense aveva manifestato queste ambizioni e ora è tornato alla carica con una comunicazione in perfetto stile-Trump: una girandola di dichiarazioni che vanno dal tono morbido di settimana scorsa a quelle più bellicose di inizio gennaio, quando non escluse l’uso della forza per annettere la Groenlandia.

Le possibilità che lo scenario si concretizzi, in ogni caso, non sono altissime. In primo luogo, come rilevato da un sondaggio dell’agenzia indipendente Verian, l’85% dei groenlandesi non vuole entrare a far parte degli Usa e anzi non apprezza il comportamento di Trump. Inoltre, i cinque principali partiti sono tutti a favore dell’indipendenza e a dividerli su questo punto è solo la modalità di come raggiungere l’obiettivo. In questo senso, i Democratici, vincitori alle legislative di martedì 11 marzo, mirano a staccarsi dalla Danimarca senza fretta. Una posizione che nei fatti è la stessa dell’ormai ex primo ministro Múte Bourup Egede, che a inizio anno, in risposta a Trump, aveva caldeggiato l’idea di indire un referendum sull’indipendenza in concomitanza delle elezioni, salvo poi fare marcia indietro e rinviare la questione alla scadenza della legislatura appena iniziata, cioè nel 2029.

A oggi, Copenaghen è ancora fondamentale per la Groenlandia, che riceve annualmente 500 milioni di dollari di finanziamenti. Lo stesso Egede, a gennaio aveva sottolineato che i rapporti tra l’isola e la madrepatria non erano ancora improntati a una perfetta e bilanciata uguaglianza. L’idea prevalente, in questo scenario, sembra essere quella di evitare di staccarsi prima di potersi reggere in modo stabile sulle proprie gambe.

Uno stimolo a velocizzare il percorso verso l’indipendenza potrebbe però essere rappresentato dal Naleraq. Il partito sarà il secondo per numero di seggi nel nuovo Parlamento ma è difficile che sia coinvolto nella coalizione di governo: Jens-Frederik Nielsen, leader dei Democratici, è disposto a dialogare con tutti ed è probabile che coinvolga almeno uno dei partiti precedentemente al governo, per i quali però è fondamentale tagliare fuori il Naleraq. A preoccupare è soprattutto la posizione di quest’ultimo nei confronti di Trump. “Con cos’è che non dovrei essere d’accordo?”, ha detto Kuno Fencker, uno dei volti più in vista del partito, commentando le frasi in cui il presidente Usa diceva che avrebbe coperto d’oro i groenlandesi.

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