Esteri

La tragedia dei Pahlavi, morto un altro figlio dello Shah

La famiglia dell'ultimo Shah d'Iran colpita ancora una volta dalla morsa crudele del destino

Di Mariofilippo Brambilla di Carpiano

A Boston sono le due del mattino del 4 gennaio quando il principe Ali Reza, 44 anni figlio cadetto di Mohammad Reza Pahlavi, ultimo Shah dell'Iran, viene trovato morto nel suo appartamento al 141 di West Newton Street. Un colpo di pistola ha messo fine alla sua vita. Dalla grandezza imperiale, dal bagliore dei fasti del potere ammirati dal mondo intero, sino alla caduta, all'esilio, ai tradimenti e ai lutti. Se non è una maledizione, quella che ha colpito la dinastia dei Pahlavi dal giorno in cui la rivoluzione islamica nel 1979 rovesciò il trono del pavone, gli somiglia molto.

A lungo considerato un sovrano moderno e illuminato lo Shahnshah (re dei re) dell'Iran, il migliore amico dell'occidente tra i Capi di Stato mediorientali, viene abbandonato al suo destino dalla comunità internazionale quando le scintille della rivolta iniziano ad incendiare gli animi dei persiani. La monarchia viene travolta e il turbante prende il posto della corona. Si tratta della prima rivoluzione d'importanza mondiale che abbia girato indietro le lancette della storia instaurando una teocrazia fondamentalista che, capovolti gli equilibri geopolitici del Golfo Persico, dura ancora oggi.

Lo Shah muore un anno dopo vagando in esilio di paese in paese, tutti i suoi alleati ed amici gli hanno voltato le spalle, l'opinione pubblica che sino a pochi mesi prima lo venerava ora lo chiama alternativamente satrapo e dittatore. Per l'ex famiglia imperiale inizia un periodo difficile, un misto di tragedie e tentativi per riguadagnare il ruolo perduto. Nel dicembre del 1979 in Francia i sicari di Khomeini uccidono il principe Shahriar, figlio di Ashraf la sorella gemella dello Shah, eroe della marina imperiale il principe incarnava le speranze di un golpe militare contro gli ayatollah.

Passano gli anni, la Persia è lontana, il pretendente al trono Reza Ciro è riconosciuto leader di una parte consistente dell'opposizione in esilio al regime khomeinista, molti lo vedono come una possibile alternativa per il futuro. Il fratello Ali Reza, secondo in linea di successione, rimane più defilato, lontano dai toni accesi di alcuni monarchici, si dedica agli studi accademici: storia e letteratura antica.

Come la diaspora degli esuli iraniani anche la famiglia imperiale si trova sparpagliata per il mondo, da Parigi l'imperatrice Farah tiene uniti i quattro figli, sino all'11 giugno 2001, quando la più giovane, Leila, muore a Londra uccisa dalla depressione e da un cocktail di farmaci. La giovane e bella principessa non superò mai i traumi della rivoluzione e della perdita del padre. Da questa morte i Pahlavi non si riprenderanno più completamente.

Pochi mesi dopo le luci della ribalta si riaccendono su un altro cadavere, è quello di Soraya “la principessa triste”, seconda moglie dello Shah che venne ripudiata perché non poteva avere figli, muore nel suo palazzo di Parigi circondata dalla stessa solitudine che aveva trovato alla corte imperiale di Teheran quando era ragazza.

Nella primavera 2009 il vento sembra cambiare con il montare dell' ”Onda verde”, la protesta di massa degli iraniani contro il potere degli ayatollah, Reza Ciro e la sua famiglia ritornano sulla scena. Nonostante molti auspichino un'azione diretta il figlio dello Shah rimane prudente, a conti fatti i calcoli si rivelano esatti perché la repressione ha successo e il regime non crolla.

Ali Reza conduce una vita riservata a Boston, laureatosi alla Princeton University si fidanza con la persiana Raha Didevar, direttrice di una fondazione di aiuti umanitari e psicologa, da cui nascerà una figlia postuma. Nel 2005 compie una rara apparizione pubblica in Europa quando accompagna la madre ai funerali del Principe Ranieri di Monaco.

Incontrai Ali Reza pochi dopo, lo ricordo come una persona profondamente affabile e pacata. Ero appena tornato da un lungo soggiorno a Teheran, questo viaggio aveva accresciuto molto il mio interesse per l'Iran e per le vicende che portarono alla rivoluzione islamica del „79 ma Ali Reza prediligeva argomenti che non riguardavano la storia contemporanea bensì quella dell?impero Sassanide, degli Achemenidi, dei Parti.

Egli possedeva una vastissima conoscenza sulle antiche stirpi persiane, era coltissimo in materia di popoli Indoeuropei e sull?origine della scrittura Indo-Iraniana, tanto da decifrare l'antico alfabeto medio-persiano Pahlavi da cui il nonno Reza Kahn, l'ufficiale cosacco semianalfabeta che si proclamò imperatore e secolarizzò il paese, aveva tratto il nome per la sua giovane dinastia.

Ali Reza mi disse che stava lavorando per conseguire un PhD ad Harvard, era preso dai suoi studi sulle culture Pre-Islamiche ma era molto interessato anche alle civiltà Etrusca e Latina, a questo proposito mi fece il nome di un italiano il professore Gherardo Gnoli, eminente orientalista dell?Università di Napoli.

In un'altra occasione accennai al libro scritto da suo padre Mohammad Reza Pahlavi nel 1960: Mission for my Country, un testo auto celebrativo, pieno di illusorie speranze per il futuro. Fu allora che Ali Reza mi consigliò di leggere un altro libro, mi disse: “Prima di morire mio padre scrisse Answer to History dove raccontava la sua visione della storia in risposta agli attacchi dei media schierati tutti contro di lui”.

Quel libro è il testamento politico dello Shah, a scriverlo nel suo ultimo anno di vita fu l?ex imperatore dell?Iran, l'autocrate che aveva regnato trentotto anni su un paese che prima lo aveva amato e che poi aveva scardinato il suo sistema. Ripudiato dalla sua patria, lo Shah stava morendo velocemente a causa di un cancro senza trovare un paese che volesse ospitarlo in seguito alla fatwa di Khomeini che malediceva e minacciava di pesanti ritorsioni chiunque avesse osato dargli asilo.

Mi ricordai allora di una Stanza di Indro Montanelli, pubblicata sul Corriere della Sera molti anni fa. Il grande giornalista, trattando della rivoluzione iraniana, concludeva la sua lettera scrivendo che tra tutti i governanti alleati e amici dei Pahlavi fu solamente il presidente dell?Egitto Anwar Sadat, un musulmano, l?unico ad avere il coraggio di accogliere lo Shah morente e la sua famiglia, dando una lezione di stile e di carità all?occidente che aveva prontamente voltato le spalle al vecchio alleato caduto in disgrazia.