Esteri
Los Angeles, il rogo ha fatto più danni del Covid. Addio al mito della Pacific Coast Highway
Il Santa Ana torna a soffiare e a far paura. Il primo bilancio della devastazione di una città già depressa
LOS ANGELES – Il fuoco non molla e purtroppo la notizia peggiore che arriva in queste ultime ore è quella dell’aumento delle vittime. Siamo, in questo momento che scrivo, a quota venticinque. Ma è un numero che tenderà a salire impietosamente, visto che risultano disperse almeno altre venti persone. Questo è un duro colpo, per una città che è in ginocchio e afflitta ormai da giorni di roghi.
Perché per quanto possa essere drammatico perdere la propria casa, l’auto, gli oggetti di valore, le cose care, i ricordi dell’infanzia, il pelouche della nostra vita, il libro preferito, le cose inutili ma importanti, niente è così irreparabile come morire. Le case si ricostruiscono, magari tutti insieme, con amministrazioni meno burocratiche e politicizzate. Le cose si ricomprano, la vita può continuare.
Quello che ha funzionato
In questi giorni posso dire di avere assistito a una notevole e funzionale organizzazione dei soccorsi. I piani di evacuazione, gli allarmi, le notifiche, gli aiuti a seguire le vie di fuga, hanno funzionato perfettamente e di questo bisogna essere grati ai Vigili del Fuoco, ai responsabili della sicurezza, alle forze dell’ordine che hanno lavorato incessantemente per mettere in sicurezza tutti gli abitanti delle zone e dei quartieri colpiti dalle fiamme. Però, nonostante tutto questo impegno e lavoro, i morti cominciano ad essere molti. Questo è un lutto grave, un enorme dispiacere sul dispiacere.
Il Santa Ana torna a soffiare minaccioso
Oggi il vento del deserto, il Santa Ana, torna a soffiare riportando l’intera situazione a una nuova criticità per tutti quei quartieri che sembravano essere stati risparmiati. Da una settimana vivo con le valigie pronte nel salone di casa. I documenti, i faldoni, le cose della banca, qualche contante, i valori personali, gli abiti necessari, i computer e i telefoni, le lenzuola, gli asciugamani e lo stretto necessario. Tutto giace lì in terra, in perenne attesa di essere riposto il prima possibile e con la speranza di non doverlo mai portare fuori di casa. È snervante.
Vivere col kit di sopravvivenza in salotto
Questo improvvisato kit di sopravvivenza è seduto in salone fin da quando abbiamo ricevuto l’invito a essere pronti in caso di evacuazione 4 giorni addietro. La mia casa si trova a North Glendale, proprio sotto l’inizio delle colline, in vicinanza di quello che chiamano l’incendio di Eaton, che ha per epicentro Altadena e Pasadena. Ogni giorno salgo in terrazza almeno tre volte: la mattina, a pranzo e la sera, a controllare il cielo, a vedere l’evoluzione del fumo, i suoi spostamenti, a sperare che il vento non giri di quei pochi gradi necessari a cambiare la traiettoria del fuoco e a permettergli di aprire nuovi fronti, nuove vie.
E' ora di capire perché tutto è cominciato
Certo, ancora mi chiedo e ci si chiede come tutto questo sia potuto accadere, ma soprattutto come sia cominciato. Il vento maledetto è un vettore ma non la causa. Al riguardo non si hanno risposte ufficiali, su come e dove si sia innescato. Come ho detto e scritto in precedenza, l’indiziata numero uno resta la rete elettrica. Un sistema obsoleto fatto di pali di legno e trasformatori appesi, assieme a cavi volanti. Nelle ultime ore per quanto riguarda l’incendio di Eaton sembra che le autorità ipotizzino un coinvolgimento proprio della rete di fornitura elettrica come causa responsabile. Cosa che invece non viene confermata per l’incendio di Palisades, dove si parla di una possibile responsabilità legata agli eventi e a possibili fuochi d’artificio esplosi nei festeggiamenti della notte di San Silvestro. Tutto da chiarire. Di certo per ora si esclude il dolo volontario, l’azione sconsiderata di un singolo elemento, di un malato di mente, che voleva giocare al piccolo fiammiferaio. Nonostante tutto, dove non c’è il fuoco la vita cerca di continuare nella sua normalità ma è difficile.
Vivere in una città spettrale. Un flaschback al tempo del Covid
Durante la giornata si prova a uscire a farsi un giro, e si scopre che la città è vuota. Negozi chiusi, facce tristi, poca gente in giro. I banconi dei bar, quelli aperti, come un quadro di Hopper, con le luci soffuse e qualche povero cristo seduto in solitudine a bere qualcosa. Sembra di essere tornati a quei giorni tremendi del Covid, quando si era perennemente in quarantena, quando sembrava che la vita fosse sparita da ogni sua attività. Questa città che vive all’aperto per il privilegio che le è stato concesso dalla natura, con il suo clima mite, solare, perennemente estivo, i colori arancio dell’imbrunire, l’aria fresca e gentile, sembra non esistere senza la sua gente che scorrazza per le strade, in fila per entrare nei negozi, seduta ai tavoli dei locali, sulle terrazze, in bici al mare o nei parchi. Con le autostrade in preda al traffico nelle ore di punta, le migliaia di luci che si accendono al tramonto.
La voglia di farsi un barbecue con gli amici, una birra al pub, un aperitivo in compagnia. Non c’è più niente. Sospesi, increduli come vittime di un incantesimo, come protagonisti di un film di morte e distruzione, uno di quelli di John Carpenter come “Escape from L.A.”.
Ma la magia di Los Angeles era già sparita
La magia che questa città ha avuto nella sua storia sembra essere svanita per sempre. Il Covid aveva già duramente messo a dura prova la piacevolezza di Los Angeles. E negli anni a seguire la crisi di Hollywood, l’inflazione, l’eccessivo rincaro dei prezzi e l’aumento del costo degli affitti, avevano reso la città degli angeli diversa, spenta, affaticata, irriconoscibile, demotivata, delusa.
Questo incendio, brutto, devastante, improvviso, questa apocalisse che in settantadue ore ha cancellato per sempre una delle parti più belle della città, se non la più bella, quella che scorre sulla famosa PCH (la Pacific Coast Highway), che va verso Malibu la strada con le case a palafitta sul mare, quelle che abbiamo imparato a riconoscere nei film. Quella strada che abbiamo sognato di percorrere alla guida di un’auto cabrio con il vento fra i capelli o alla guida di una moto. La bellezza della vita è anche e soprattutto nella sua capacità di immaginare, di sognare, di sperare. Che tutto questo possa tornare a risplendere su L.A. e sulla sua gente messa duramente alla prova. Nel frattempo, prepariamoci a un’altra notte di speranza con l’augurio che i dispersi si ritrovino e i morti e le fiamme non aumentino.