Esteri

E se guardassimo al Mediterraneo?

Una proposta per una coesione economica euro-mediterranea realistica, sostenibile e strategica

di Raffaele Volpi

E se guardassimo al Mediterraneo?

Nel momento in cui le geometrie del mondo si ricompongono, i confini diventano più mobili e le filiere produttive più fragili, c’è uno spazio geografico e politico che torna ad assumere una centralità trascurata per troppo tempo: il Mediterraneo. Non più visto come margine o periferia, ma come piattaforma attiva, snodo di scambi, luogo di convergenze. Il Mediterraneo, oggi, è un’area in cui si gioca il futuro della stabilità regionale, della sicurezza energetica europea, della mobilità commerciale e, in fondo, della capacità del continente di rinnovare la propria proiezione internazionale.

Guardare al Mediterraneo non significa solo orientarsi verso sud, ma riconoscere un sistema, una dimensione complessa, che abbraccia l’Europa meridionale, il Maghreb, il Levante, fino ad affacciarsi verso l’Africa subsahariana e l’Asia occidentale. Un sistema che può diventare molto più di un mosaico disgregato: può essere un blocco economico flessibile, un insieme di alleanze modulari, in cui ogni Paese contribuisce secondo le proprie capacità e trae beneficio da un’intelligenza collettiva fatta di prossimità, complementarietà e condivisione.

Non si tratta di creare una nuova unione sovranazionale né di replicare modelli passati. Al contrario, la forza di questa visione sta nella sua adattabilità: una cooperazione a geometria variabile, basata su progetti concreti, con accordi bilaterali o multilaterali su settori strategici, e un coinvolgimento multilivello che includa Stati, regioni, imprese, porti, fondi di investimento. L’obiettivo è costruire un nuovo sistema di alleanze produttive e infrastrutturali capace di generare valore condiviso, rafforzare la resilienza dell’Europa e offrire ai partner mediterranei occasioni di sviluppo strutturale.

L’Italia, in questo scenario, ha tutte le carte per giocare un ruolo attivo, non per ragioni di prossimità geografica, ma per storicità dei rapporti, densità economica e capacità di mediazione. La sua posizione, tra i grandi porti dell’alto Tirreno e l’apertura naturale verso il Nord Africa e il Levante, la rende un candidato naturale alla regia discreta ma strategica di una rinnovata cooperazione mediterranea. Un’Italia ponte, non confine; interlocutore, non dominatore.

In un momento in cui la guerra in Ucraina, i blocchi logistici globali e la tensione in Medio Oriente mettono a rischio l’autonomia energetica e industriale europea, puntare sul Mediterraneo non è solo una scelta identitaria, ma una risposta strategica alla vulnerabilità. Con investimenti coordinati, il Mediterraneo può diventare il principale corridoio energetico alternativo per l’Europa, non solo attraverso gasdotti come Transmed e Medgaz, ma aprendo a nuove tecnologie condivise: l’idrogeno verde, le reti rinnovabili transfrontaliere, i progetti di desalinizzazione e le smart grid sono tecnologie già pronte, che attendono solo un contesto multilaterale operativo.

Non si parte da zero. Esistono già organismi che rappresentano un patrimonio istituzionale e tecnico da valorizzare. L’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo (APM), ad esempio, offre da anni un forum politico multilaterale in cui si incontrano rappresentanti di tutti i Paesi rivieraschi, affrontando temi di stabilità, economia, energia e diritti. Allo stesso modo, MEDREG, il network dei regolatori dell’energia del Mediterraneo, promuove l’armonizzazione delle regole, la cooperazione tecnica e la sicurezza energetica comune. Sono strumenti già rodati, spesso poco visibili, che però possono fungere da catalizzatori per progetti operativi. L’idea non è creare nuove strutture, ma integrare e coordinare quelle esistenti dentro una visione orientata allo sviluppo e alla convergenza economica.

Ma non è solo l’energia a poter fare da motore. Anche la logistica ha un potenziale enorme, spesso sottovalutato. Il Mediterraneo può e deve diventare un’area di connessioni fluide, una “rete di reti” dove porti strategici europei (Genova, Valencia, Marsiglia) dialogano in modo efficiente con quelli africani e levantini (Tangeri Med, Suez, Haifa). Le cosiddette autostrade del mare possono evolvere in corridoi commerciali multimodali, capaci di competere con le rotte nordiche, oggi congestionate e fragili. L’interconnessione logistica, se sostenuta da investimenti intelligenti e standard comuni, può rilanciare un sistema mediterraneo policentrico, in cui la posizione geografica diventa vantaggio competitivo e non più limite.

A questo si aggiunge il settore agroindustriale, su cui può innestarsi un processo di convergenza economica a beneficio di tutti. Le filiere agricole euro-mediterranee – olio, ortofrutta, cereali – possono essere integrate con protocolli comuni, scambi preferenziali, innovazione tecnologica condivisa. L’accesso ai mercati può essere facilitato da hub logistici regionali e l’unificazione degli standard fitosanitari può semplificare la circolazione delle merci. È un’opportunità non solo per l’Europa del Sud, ma anche per i Paesi africani e levantini, che possono rafforzare la propria sicurezza alimentare e crescere in valore aggiunto.

Un quarto asse di cooperazione riguarda la manifattura leggera e le tecnologie produttive condivise. Distretti euro-mediterranei possono nascere nei settori dove la cooperazione è tecnicamente e logisticamente più semplice: automotive sostenibile, tessile innovativo, chimico-farmaceutico, componentistica meccanica. Questo tipo di collaborazione – non una delocalizzazione cieca, ma una filiera integrata – permette di mettere insieme il capitale umano disponibile in Nord Africa e Levante con il know-how europeo, creando una rete produttiva distribuita e resiliente. Non più subappalto, ma co-produzione. Un modello che attrae investimenti, stimola la mobilità dei lavoratori qualificati e valorizza le specializzazioni territoriali.

Naturalmente, tutto questo richiede una governance efficace, ma leggera. Non servono nuove sovrastrutture istituzionali, ma piuttosto un coordinamento tecnico agile. Una segreteria operativa mediterranea, in grado di monitorare progetti e facilitare le connessioni tra attori pubblici e privati, potrebbe essere il perno del sistema. Un tavolo permanente – tra Stati, regioni, porti, università, fondi di investimento – può diventare il luogo dove le idee si traducono in accordi e le intese in azioni.

I conflitti regionali, la fragilità politica di alcuni Paesi partner, le divergenze intraeuropee, l’ingresso di attori esterni come Russia, Cina o Turchia: tutte queste criticità non vanno ignorate. Vanno gestite con strumenti di mitigazione, adesione flessibile, meccanismi di esclusione temporanea e garanzie multilaterali per gli investimenti.

Il vantaggio di questo approccio è che non forza nessuno, ma invita tutti. Ogni Paese può partecipare ai progetti che gli sono più congeniali. Ogni impresa può trovare partner credibili e stabili. Ogni territorio può ritrovare centralità, rompendo l’isolamento e moltiplicando le opportunità. È una forma di integrazione leggera ma ambiziosa, una nuova via mediterranea allo sviluppo. In un’Europa che fatica a tenere il passo con le grandi potenze, questa proposta è al tempo stesso realistica e lungimirante.

Il primo passo potrebbe essere una Conferenza Politico-Economica del Mediterraneo – a Roma, Barcellona, Marsiglia – con una regia congiunta tra Italia, Spagna e Francia, aperta ai partner più stabili del Nord Africa e del Levante. Da lì, un primo pacchetto di progetti settoriali da finanziare: energia, logistica, agroindustria. A seguire, la creazione di un tavolo tecnico-finanziario con CDP, BEI, Banca Africana di Sviluppo, i fondi europei di vicinato e i meccanismi del Global Gateway UE.

La presenza di MEDREG e dell’APM può garantire, sin da subito, un dialogo strutturato tra le autorità regolatorie e quelle parlamentari. Tutto può iniziare con poco, se l’approccio è giusto. Il Mediterraneo ha atteso a lungo il momento di tornare protagonista: oggi, quella possibilità è reale. Non si tratta di costruire un nuovo sogno euro-mediterraneo, ma di dare una forma stabile a ciò che già esiste. Di chiamare alleanze quelle che oggi sono solo coincidenze. E di riconoscere, finalmente, che nel Mediterraneo non ci siamo “affacciati”: ci siamo dentro, da sempre.

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