Esteri
Regeni-Patrick Zaki: bugie e torture. Ma gli affari con Il Cairo continuano

La morte di Regeni e l'arresto dello studente egiziano dell'Università di Bologna Patrick non alterano i rapporti Italia-Egitto. Ecco perchè Al Sisi fa comodo
Regeni-Patrick Zaki, fra l'Italia ed Egitto non cambia nulla
Sono passati quattro anni dall’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni. E quattro giorni dall’arresto dell'attivista egiziano Patrick George Zaki, studente al master Gemma dell'Università di Bologna. Vana la richiesta dei genitori di Regeni – l’ultima di questa mattina – di ritirare l’ambasciatore italiano in Egitto. Due casi, quelli di Giulio e Patrick, che mettono in apparente contrapposizione Italia e l’Egitto ma che di fatto lasciano inalterati i rapporti diplomatici e commerciali fra i due Paesi. Gli interessi che intercorrono sono enormi, quasi vitali. Energia, commercio, sicurezza. Sono solo alcuni dei settori chiave che rendono Il Cairo indispensabile per Roma. E viceversa.
L’Egitto è un Paese di cento milioni di persone circa, nel cuore del mondo arabo e inserito in un asse di ferro con le monarchie del Golfo, ricche di risorse. Un grande mercato in cui i maggiori produttori di armamenti si sono tuffati (Stati Uniti, Russia e Francia). Nel 2019 l’Egitto è stato, fra i Paesi “al soldo” di Washington, quello maggiormente finanziato da parte degli Stati Uniti. E i cinesi? Pechino sta costruendo ad Al Sisi una nuova capitale, una città che dovrebbe sorgere nel bel mezzo del deserto, grazie agli accordi derivanti dalla Belt and Road. Nella regione del Mediterraneo orientale, oggi, non si può fare a meno di Al Sisi.
Regeni-Patrick Zaki, gli affari di Roma e il finto ritegno
Anche l’Italia vuole fare affari. Si parla di un contratto da 9 miliardi di dollari, incentrato sulla fornitura di fregate Fremm. Quest’ultima in particolare, è una partita che ha “tagliato in due” la politica estera italiana: il 24 gennaio scorso, alla vigilia dell’anniversario della scomparsa di Regeni, a Palazzo Chigi era in agenda una riunione plenaria sulla commessa a Il Cairo, una “sovrapposizione sgradevole” che la Farensina ha chiesto di evitare. Ma la riunione si è svolta lo stesso, seppur in forma ridotta e con gli attori necessari.
In ballo ci sarebbero anche pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, oltre ad aerei da addestramento Macchi M-346. La Marina egiziana, come riferisce La Stampa, avrebbe già acquistato anche una ventina di elicotteri Leonardo AW149 da impiegare a bordo delle due portaelicotteri acquistate dalla Francia, la Ghamal Abdel al-Nasser e la Anwar Sadat. A livello geopolitico l’Egitto interessa parecchio a Roma anche per la questione libica. Il Cairo rappresenta l’unica zona stabile del Nord Africa: il Sudan è messo a ferro e fuoco dalla rivoluzione e le forti proteste di piazza, che durano ormai da mesi, stanno scuotendo l’Algeria.
Il riarmo egiziano si inserisce quindi in una regione dove è in corso un riassetto degli equilibri di potere, che vedono l’asse Egitto-Golfo in competizione con la Turchia e il Qatar. Una competizione che poi è già guerra per procura in Libia, dove si è vista l’importanza del controllo delle vie marittime per le forniture di armi alle milizie che si contendono Tripoli. La vendita delle fregate potrebbe per questo irritare Ankara, anche se Roma mantiene canali aperti su entrambe le sponde e mantiene una posizione di equidistanza.
Il progetto è quindi di una cooperazione su larga scala nell’industria militare, confermata dal giornale Mada Masr, che ha parlato di contatti con il ministro della Produzione militare Mohammed al-Assar, concretizzati con la firma di “nove memorandum d’intesa”, compresa la realizzazione di una “unità logistica integrata” al Cairo. Mentre il ministro del Commercio Amr Nasser, al secondo Forum economico italo-egiziano, ha sottolineato come l’interscambio fra i due Paesi abbia già raggiunto i 7,2 miliardi di dollari nel 2018.