Esteri
Gaza, così Israele perde la guerra più autodistruttiva dai tempi del 3º Reich
La guerra non s'arresta e l'analisi razionale in materia politica e militare è sostanzialmente incompatibile con la stretta fazione ideologica...
Sesto mese di guerra a Gaza: come Israele perde la guerra più autodistruttiva dai tempi del Terzo Reich
Si dica illico et immediate in incipit: in una ottica di analisi geostrategica e militare condotta da analisti di competenza si bandisce il morbo del pacifismo al pari del morbo del fanatismo ipermilitarista. Entrambi rappresentano una patologia scientificamente comprovata esattamente come la proliferazione di una malattia venerea in un qualsiasi esercito. Chi si presenti, tronfiamente, come studioso della materia e professante o praticante tali religioni apertis verbis o sottotraccia, seppure talvolta tecnicamente preparato non è molto diverso da un abile ciarlatano da trivio o da un magari preparatissimo giocatore di carte al casinò, però baro.
La analisi razionale in materia politica e militare è sostanzialmente incompatibile con la stretta fazione ideologica. Questo non significa che un analista geostrategico e militare non possa né debba avere avere le sue idee politiche ed anche le sue filosofie di fondo, tendenzialmente pacifiste o quadratamente militariste che siano: significa che le proprie considerazioni debbano essere pienamente agnostiche e non adulterate dalla religione.
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Seppur con un paragone irriverente, come in una formulazione di profumo da haute couture la guerra (e quindi la relativa analisi geostrategica politica e militare) si compone di note di testa, di cuore e di fondo: si deve vagliare in testa la situazione corrente, nel cuore la situazione a medio raggio, mentre la base di fondo deve conoscere il pregresso, ipotizzare le conseguenze a lungo raggio ed elaborare scenari, stavolta anche su base di dottrina filosofica. Per meglio intenderci applicando poi tale descrizione alla guerra di Gaza una analisi razionale non può prescindere da tre fondamentali considerazioni strutturali:
1) la IDF (Israeli Defence Force, ovvero le Forze Armate Israeliane) affronta una organizzazione politica e paramilitare di terroristi efferati, disonoratisi ulteriormente con il disgustoso attacco e con i crimini di terrorismo del 7.10.23 e con l'imperdonabile rapimento degli ostaggi israeliani in gran parte ancora nelle mani dei terroristi, che però sono anche supportati da un movimento di resistenza popolare innegabile, alimentato da uno scontro che ad oggi supera i cento anni, ma che negli ultimi cinquanta ha visto una radicale escalation dei soprusi ai danni della popolazione palestinese, effettivamente depredata della concreta possibilità di autodeterminazione.
2) il governo Netanyahu, all'opposto di ciò che avrebbe presumibilmente fatto qualsiasi governo occidentale (almeno quelli di un passato migliore del vergognoso presente), invece di trattare immediatamente per il rilascio degli ostaggi ponendo un ultimatum e semmai in una seconda fase operare per una rappresaglia, ha invertito assurdamente i fattori, condannando nel contempo gli ostaggi, rivelando i propri intenti inconfessabili di conquista ed eliminazione di Gaza e forse persino di un casus belli favorito e persino provocato il 7 ottobre, visto che un attacco di Hamas di quella portata era materialmente impossibile non averlo monitorato e previsto con ampio anticipo (in special modo a causa dell'ingente numero di razzi pesanti delle piú recenti generazioni Qassam utilizzati da Hamas).
3) Israele è quindi finita in un paradosso spazio-temporale in cui avrebbe dovuto chiudere immediatamente la questione liberando gli ostaggi e punendo severamente alcuni obiettivi-simbolo dell'avversario, mentre nella realtà ha imboccato la strada senza uscita della prosecuzione estesa di una guerra senza limiti di tempo, in cui più il tempo passa e più aumentano le vittime civili palestinesi, aumentando quindi il problema invece di risolverlo, problema stesso asservito alla sopravvivenza del dittatore de facto Netanyahu e del suo gabinetto di estremisti di destra, senza più nessuna opposizione interna dei vertici più progressisti, epurati dallo Shin Bet e dal Mossad, ovvero dai Servizi di Intelligence, e soprattutto dai maggiori reparti operativi della IDF, soprattutto le grandi unità di fanteria e corazzate, ma in particolare le unità speciali di élite, in un certo senso non a caso semi-ufficialmente escluse dalla percussione su Gaza (tranne la 98a divisione paracadutisti HaEsh), a favore di un maggiore impiego di reparti di riservisti (come la 99a divisione fanteria Ha'Bazak e ben 2 divisioni corazzate e 2 di addestramento) oltre ovviamente alla Aeronautica, vera asse portante delle operazioni, e alla Marina militare di supporto.
Quindi, come nelle note succitate dal sinistro parallelo tra un evento bellico ed un eau de parfum:
A) la testa: il computo attuale delle truppe sul campo, dei materiali impiegati, dei caduti e delle vittime di guerra civili, con una addizione ad oggi sulla carta molto favorevole ad Israele, con una gigantesca disparità tra caduti israeliani e caduti trai miliziani palestinesi, ma nel contempo con una palese sproporzione di vittime civili, cosiddette collaterali, concretamente configurate come punizione collettiva sui civili. Con cifre inaffidabili e di puro naturale conio propagandistico da entrambe le parti (con forbici per intendersi che vanno dai 1500 miliziani tra caduti e presi prigionieri dichiarati da Hamas e dai suoi alleati e satelliti, ai 15.000 affermati dalla IDF israeliana).
B) il cuore: la realtà evidente di un quadro internazionale che vede l'isolamento di Israele, pressoché prevalente nelle opinioni pubbliche non solo occidentali, ma soprattutto del resto del mondo, nonostante una sorprendente (o meglio non sorprendente) calma semiglaciale non solo dei paesi arabi, ma anche degli altri grandi paesi musulmani, addizionato ad un imbarazzante atteggiamento delle cancellerie occidentali, prima apoditticamente schierate con Netanyahu, ora nel panico di una posizione sempre più insostenibile visto l'allargamento delle vittime civili palestinesi e della inarrestabile arroganza non solo del governo di Tel Aviv, ma anche della società israeliana nel suo complesso, al netto di una opposizione interna non irrilevante, ma certamente minoritaria.
C) il fondo: la ragione di fondo di ognuno dei due contendenti, che sta passando nel sentimento generale sempre di più dalla parte dei palestinesi, grazie anche alle politiche segregazioniste contro i palestinesi degli ultimi decenni ad opera dei governi di destra e di estrema destra in Israele, oltre ovviamente al probabile computo attuale di oltre trentamila morti e oltre settantamila feriti, in maggioranza civili e in gran parte oltretutto minorenni. Una ragione di fondo che determina uno scenario futuro di concreto collo di bottiglia per Israele, guidato da un governo palesemente privo di un realistico piano strategico, se non distopico (ma non per questo meno attuabile, almeno a corto raggio). Una ragione di fondo che evoca letture conseguentemente dottrinali, ovvero con una lente di scontro tra un teorico anelito di pace e una ottusa rabbia bellicistica. Uno scontro che soprattutto scopre il re nudo delle classi dirigenti euroinomani e yankee, sempre più improbabili e crassamente impudenti nel livello ormai totalmente intollerabile di corruzione morale e materiale, nelle ruberie ormai non solo più sulle spalle dell'impoverimento delle classi subalterne in Europa e Stati Uniti, ma anche nel sangue delle vittime più indifese di Gaza (senza contare quelle misconosciute nel resto del mondo, in Africa in primis, che non godendo nemmeno degli attuali riflettori crepano e basta, nel disinteresse generale).
Nel contempo si dica anche qui con relativamente assoluta certezza storica: il termine GENOCIDIO utilizzato anche nell'uso corrente, oltre che nella celebre istanza alla Corte di Giustizia Internazionale dell'Aja mossa dal Sudafrica contro Israele, è marchianamente incongruente, sebbene estremamente importante dal punto di vista politico. Per genocidio si intende, letteralmente, la applicazione di un tentativo di sterminio di un intero popolo o etnia.
Il vocabolo GENOCIDIO non è diretto sinonimo di massacro o di crimine di guerra: compiendo o tentando un genocidio si opera assolutamente un massacro e un crimine di guerra, ma non vale il contrario, poiché compiendo un massacro o un crimine di guerra non si opera per forza un genocidio. I palestinesi sono stimati, come popolazione tra Gaza, Cisgiordania e diaspora internazionale, intorno ai 13 milioni circa. Per quanto atroce ed insopportabile sia, un computo fosse anche di 130.000 o più vittime tra morti e feriti sarebbe evidentemente una percentuale incompatibile con una attuazione di genocidio. Questo tuttavia non toglie che la opinione pubblica internazionale abbia ottime ragioni per invocare, pur non correttamente, un cogente tentato genocidio in Palestina, sotto lo slogan ormai imperante di STOP GENOCIDE.
Nella realtà della contingenza militare resta paradossalmente molto basso il numero delle vittime civili, a fronte dei pesanti bombardamenti operati in cinque mesi, considerate le unità aeree e corazzate impiegate, il numero di missioni di attacco, il totale attuale di munizioni impiegate (bombardamenti non indiscriminati, ed anche questo è un sostanziale falso storico, ma nettamente incuranti non solo delle vittime collaterali, ma anche dichiaratamente punitivi nei confronti di una popolazione considerata complice di Hamas, oppure consustanzialmente colpevole di occupare una terra promessa ad Israele direttamente da Dio). È quindi importante capire di cosa si sta parlando, ovvero di CRIMINI DI GUERRA e non di GENOCIDIO, ma questo in realtà rende ancora più colpevoli le cancellerie occidentali e i loro media, apertamente o strisciantemente sotto controllo, che infatti hanno fatto accortamente sparire la locuzione CRIMINI DI GUERRA dal lessico suonante. Molto meglio lasciare che le proteste sbandierino la formuletta STOP GENOCIDIO, tonitruante e quindi eccessiva già al timbro, nonché all'occorrenza smontabile appunto coi numeri.
Purtuttavia le dichiarazioni pubbliche, e si ripeta pubbliche degli esponenti del governo Netanyahu, Bibi Netanyahu in prima fila, mettono nero su bianco il piano delirante di un annientamento se non dell'intero popolo palestinese, almeno della sua esistenza come entità politica (oltre che militare) mirando speditamente ad una sottomissione della intera STRISCIA DI GAZA secondo uno schema, pure se enormemente più feroce ed esteso, già vigente in Cisgiordania/West Bank. Occupazione militare, regime di apartheid de facto, nessuna possibilità di Stato palestinese, concessioni minime alle autorità palestinesi collaborazioniste o meno, politica del terrore e della oppressione della popolazione, mantenimento del livello di degrado dei profughi, portato persino alla carestia e alla morte per denutrizione e malattia a Gaza, eventuali piani appunto distopici di emigrazioni di massa dei profughi in Egitto o in altri paesi arabi o perfino europei, sostanziale mantenimento di unità terroristiche palestinesi, in passato dichiaratamente finanziate da Tel Aviv (come la stessa Hamas) per una prosecuzione sine die dello stato di perenne mobilitazione alla guerra della società israeliana, ormai purgata nelle sue Forze Armate e nella sua classe dirigente (ma anche nella maggioranza degli elettori) delle sue correnti dialoganti, inclusive, volte alla pacificazione, intellettualmente avanzate, se non addirittura seccamente pacifiste, per configurare un quadro di una società israeliana genericamente sciovinista e razzista, col perenne sbandieramento dello spauracchio dell'antisemitismo altrui, assurto in certi casi a filastrocca, persino a grado di macchietta da avanspettacolo. Un danno insopportabile, soprattutto per chi davvero combatte l'antisemitismo esattamente come è sacrosanto combattere ogni forma di razzismo e di discriminazione stolta e criminogena. Oltre al rischio sempre più prossimo di una ondata di reazione questa volta seriamente antisemita, persino tra gli occidentali, e con un ulteriore rischio di un ritorno del terrorismo islamico su vasta scala, che ora saggiamente aspetta, sulla pelle dei palestinesi, di arrivare ad ammucchiare sempre più morti, sempre trai più indifesi.
In conclusione di questa piccola disamina Israele affronta una possibile tripla sconfitta:
1) sul piano militare, poiché il terrorismo palestinese, nonché la resistenza palestinese, non può in sostanza essere veramente eradicata, soprattutto perché i vertici e quadri paramilitari palestinesi NON sono né a Gaza né in Cisgiordania e soprattutto perché anche sterminando una buona parte degli effettivi di truppa questi sarebbero facilmente sostituibili da altre leve, ancora più determinate delle precedenti poiché sottoposte al massacro degli scorsi mesi e presumibilmente dei prossimi.
2) sul piano geostrategico: questa guerra rappresenta un pesante crollo della credibilità internazionale dello Stato israeliano, nonché un crollo generalizzato della credibilità delle potenze occidentali, USA, NATO ed Europa soprattutto, ormai private di ogni possibilità ulteriore di invocare sedicenti superiorità morali e di civiltà.
3) sul piano della propria stessa esistenza come Stato e perfino come entità territoriale: la perdita dei freni inibitori della fazione ultra-religiosa israeliana e la quasi integrale trasformazione di Israele in Stato confessionale e pseudofascista configura una decisa comparazione tra Israele e le monarchie o le repubbliche islamiche mediorientali, ponendosi ormai totalmente al di fuori della civiltà laica dell'Occidente, o almeno di ciò che ne resta, poiché la decadenza ormai accelerata della politica americana, con lo spettacolo indegno quanto tragicomico dei due ottuagenari in marcato marasma senile alla corsa per la Casabianca, e il servaggio senza più limiti né dignità dei satelliti europei segnano un POINT BREAK della Storia che proietta gli anni venti del duemila verso una oscena replica del Novecento, ma questa volta con gli europei decaduti da protagonisti suicidi a suicidiarie comparse e con la Cina a fare da grossista del tracollo occidentale.
Unica via di uscita? Una implosione delle verminose classi politiche euroschiave, un effetto domino sulla politica americana (o viceversa): un violento distacco da Israele con una conseguente disgrazia di Netanyahu, composto come capro espiatorio con i peggiori criminali suoi sodali, ed una svolta politica volta ad una Realpolitik di compromesso razionale con la collaborazione degli Stati arabi, correntemente diretti da classi dirigenti talvolta molto più competenti di quelle europee, ormai giunte ad un grado di cialtroneria e degrado raramente visto negli ultimi cinque secoli. Forse con un CUPIO DISSOLVI assurdamente analogo a quello antecedente alla prima e seconda guerra mondiale, ma stavolta privo di statisti, seppur da tragedia shakespeariana: a questo giro solo caratteristi da B movies, in stile americano naturalmente.