Esteri
Siria "demilitarizzata": ora nulla si frappone tra i caccia israeliani e l'Iran
Mentre il nuovo esecutivo di Damasco muove i primi passi, gli strateghi di Tel Aviv sono intrigati da un'idea: demilitarizzando la Siria, si spalancherebbero le porte di Iraq e Iran
Siria "demilitarizzata": ora nulla si frappone tra i caccia israeliani e l'Iran
Gli occhi del Medio Oriente restano concentrati sulla Siria mentre l’intera regione si domanda quanto il collasso del regime di Bashar al-Assad condizionerà gli scenari geopolitici della regione. Del nuovo governo insediatosi a Damasco abbiamo detto: proiezione dell’esecutivo di Hay’at Tahrir al-Sham a Idlib, il governo di Mohammed al-Bashir lavora per capire come ridare unità al Paese levantino.
Un primo passo è stato raggiunto ieri, quando l’ala civile delle Syrian Democratic Forces (Sdf) a maggioranza curda ha accettato di issare la bandiera ribelle, verde bianca e nera con tre stelle rosse, sugli uffici di quella che è ufficialmente nota come Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est ma è universalmente conosciuto col nome di Rojava. Segno che i curdi hanno voglia di chiudere la guerra civile in cui spesso si sono scontrati coi ribelli filo-turchi e l’opzione di una Siria confederale li intriga.
I sostenitori di Assad traditi dalla sua fuga repentina
Se Hts, primum inter pares tra i gruppi ribelli, saprà effettivamente moderare il suo radicale islamismo e aprire a un dialogo nazionale, la mossa potrebbe garantire effettività all’unione del Paese. Non va sottovalutata, inoltre, la possibilità che alla ricostruzione del Paese partecipi anche la minoranza alawita di cui faceva parte il clan Assad. A Latakia e Tartus, centri sulla costa in cui si concentra la presenza di questa minoranza sciita, predomina la rabbia per la decisione del Rais di abbandonare il Paese senza dare istruzioni alle sue truppe e ai suoi uomini.
Come riporta il Times of Israel, infatti, il 7 dicembre, mentre i ribelli entravano a Damasco, “poche ore prima di fuggire a Mosca, Assad ha assicurato, durante un incontro con circa 30 capi di stato maggiore e di sicurezza presso il ministero della Difesa, che il supporto militare russo era in arrivo e ha esortato le forze di terra a resistere, secondo un comandante presente e che ha chiesto di mantenere l'anonimato per parlare del briefing”. Poi si è dileguato preparando la fuga abbandonando il Paese, i suoi sostenitori, i suoi uomini. Un’uscita di scena non perdonata da molti sostenitori del governo destituito, e che ora potrebbe paradossalmente giocare a favore della nuova unità nazionale, in un contesto in cui la crisi siriana, qualora, non si risolvesse, aprirebbe un buco nero geopolitico ancora più vasto di quello della vicina terra libanese e della Striscia di Gaza.
Aspettative e timori nutrono le possibilità di azione dei vari attori siriani, da Damasco alle terre curde. Ma lo stesso si può dire anche delle altre potenze regionali. Mentre vige ancora un fragile cessate il fuoco in Libano, perlomeno fino a fine gennaio teso a separare le truppe di Hezbollah e quelle di Israele, quest’ultima avvia il suo ritiro dal Paese dei Cedri. Cosa farà ora Benjamin Netanyahu? L’idea di lavorare per un cessate il fuoco a Gaza e chiudere la partita bellica di quattordici mesi stuzzica, ma per il governo di Bibi, probabilmente, senza conflitti arriverebbe anche la fine dell’esperienza amministrativa, sull’onda lunga di processi e tensioni con la base ultra-nazionalista dei partiti alleati del Likud.
L'idea che intriga gli strateghi di Tel Aviv: arrivare in Iran tramite una Siria "demilitarizzata"
Nel dubbio, Israele ha condotto intense campagne di bombardamento sulla Siria dopo la caduta di Assad con l’obiettivo di “demilitarizzare” il Paese vicino. E ora questa mossa può offrire agibilità per un’idea che intriga molti pensatori strategici di Tel Aviv: privata la Siria delle difese anti-aeree che spesso potevano interdire il sorvolo agli F-35 e F-16 israeliani, ora lo Stato ebraico ha un ampio spazio d’agibilità. Fino all’Iraq, forse addirittura fino all’Iran: l’ipotesi di raid contro le milizie sciite irachene (Kataib Hezbollah) o addirittura contro la Repubblica Islamica in forma più estesa di quelli di ottobre è ora allo studio. E per un conflitto che se ne chiude, un altro può finire e due se ne possono aprire: tragedia e contraddittorietà di un Medio Oriente che dal 7 ottobre 2023 produce più storia di quanta ne sappia digerire.