Esteri
Taiwan crocevia strategico ed economico. Conflitto post voto? Pil globale -10%
Sabato elezioni decisive per stabilire il futuro dei rapporti con la Cina. A seconda del risultato, si rischiano nuove tensioni. Con conseguenze profonde
Elezioni a Taiwan: momento cruciale per il futuro dei rapporti Cina-Usa
Certo, ci sono le elezioni degli Stati Uniti il prossimo novembre. Ma a pochi giorni dal suo inizio, il 2024 si appresta a vivere già un altro passaggio politico cruciale con un potenziale rilevante impatto sulla stabilità dell'Asia-Pacifico e, di riflesso, quella globale. Sabato 13 gennaio sono infatti in programma le elezioni presidenziali e legislative di Taiwan, che potrebbero avere conseguenze rilevanti sulle relazioni con la Cina continentale, ma anche sulla complessa competizione strategica fra Pechino e gli Stati Uniti. Nonché, in caso di una crisi estesa e che sfoci dal campo politico a quello militare, con una grave coda sull'economia globale.
Partiamo dai candidati, che a parole dicono tutti di sostenere lo status quo: dunque no alla riunificazione ma anche no a una dichiarazione di indipendenza formale. Il Partito progressista democratico (DPP) al potere dal 2016 si presenta con Lai Ching-te, l’attuale vicepresidente. Pechino lo percepisce come una figura più “radicale” di Tsai, viste le sue passate dichiarazioni esplicitamente a favore di una dichiarazione di indipendenza formale. Lai ha in realtà rivisto la propria retorica, mettendosi in continuità con Tsai, ma in molti ricordano una sua dichiarazione dello scorso luglio, quando disse che un giorno l’obiettivo sarà quello di entrare alla Casa Bianca, cosa che sarebbe possibile solo in presenza di un riconoscimento diplomatico ufficiale di Taipei da parte di Washington e dunque l’uscita dalla tradizionale “ambiguità strategica”.
Se per Lai lo status quo si può mantenere solo attraverso il rafforzamento dell'esercito taiwanese e quello dei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, per i candidati dell'opposizione la priorità è invece far ripartire il dialogo con Pechino. Il Kuomintang ha scelto Hou Yu-ih, ex poliziotto e attuale sindaco di Nuova Taipei. Ma la grande novità di queste elezioni è la presenza di un terzo incomodo serio, vale a dire Ko Wen-je. Ex chirurgo ed ex sindaco di Taipei, Ko ha fondato pochi anni fa il Taiwan People’s Party (TPP) e si propone come una “terza via” per superare la storica polarizzazione politico-identitaria tra KMT e DPP. Ko critica entrambi i partiti per la loro posizione “ideologica” a cui oppone un approccio “pragmatico”, che avrebbe convinto diversi giovani. Definendo il DPP troppo ostile e il KMT troppo amichevole con Pechino, Ko non si allontana comunque troppo dalle posizioni dell’attuale opposizione sui rapporti intrastretto, tanto da proporre con forza un riequilibrio della postura di Taipei e il riavvio del dialogo con il Partito comunista cinese.
Lai appare il favorito ma il risultato non è scontato. Soprattutto, potrebbe esserci un parlamento spaccato. Lo yuan legislativo ha 113 seggi ed è ritenuto piuttosto difficile che il DPP raggiunga i 57 necessari alla maggioranza assoluta, anche in caso di vittoria alle presidenziali, con un possibile impatto sulla capacità dell’ipotetica amministrazione Lai a far passare alcune riforme chiave e far approvare il budget di difesa. Uno scenario polarizzante e con ogni probabilità litigioso che potrebbe non dispiacere dalle parti di Pechino.
Tensioni o peggio conflitto su Taiwan? Conseguenze economiche potenzialmente peggiori di Ucraina e Covid
In caso di conferma del DPP sia nel ramo esecutivo che in quello legislativo, le tensioni potrebbero aumentare rispetto a quelle già altissime degli ultimi anni. Uno scenario di instabilità, o peggio di conflitto, potrebbe portare a conseguenze durissime su un'economia globale già messa a dura prova dagli altri teatri di crisi. Bloomberg Economics stima un prezzo di circa 10 mila miliardi (10 trilioni) di dollari, pari a circa il 10% del PIL mondiale, un prezzo che supera quello della guerra in Ucraina, della pandemia di Covid e della crisi finanziaria globale.
In caso di guerra, secondo i dati Bloomberg, l'economia di Taiwan sarebbe decimata. Sulla base di conflitti recenti analoghi, Bloomberg Economics stima un colpo del 40% al PIL. Una popolazione e una base industriale concentrate sulla costa aumenterebbero il costo umano ed economico. Ma attenzione anche alle conseguenze per le due grandi potenze. Con la potenziale chiusura delle relazioni con alcuni dei principali partner commerciali tra cui Ue e Usa, nonché l'impossibilità di accedere a semiconduttori avanzati, il PIL cinese subirebbe un colpo del 16,7%. Per gli Stati Uniti, più lontani dal centro dell'azione ma comunque con una posta in gioco importante, ad esempio per la dipendenza di Apple dalla catena di fornitura elettronica asiatica, il PIL subirebbe un calo del 6,7%. Per il mondo nel suo complesso, il PIL diminuirebbe del 10,2%.
Taiwan riveste un ruolo cruciale soprattutto sulla fabbricazione e assemblaggio di microchip, di cui i suoi giganti occupano oltre il 60% dello share globale. L'importanza dei colossi taiwanesi di semiconduttori non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. Per i semiconduttori, le dimensioni contano: più piccoli sono, meglio è. Tsmc ha avviato la produzione di massa di chip a 3 nanometri nell'impianto di Tainan. A breve, a Hsinshu, si produrrà a 2 nanometri. Nei prossimi anni si arriverà fino a 1 nanometro. Tanto per avere un parametro, i competitor cinesi hanno abbattuto solo di recente il muro dei 10 nanometri. E la stessa Tsmc non porta al di fuori del territorio le sue tecnologie più avanzate. A Nanchino fabbrica chip a 28 e 16 nanometri, negli Usa ne fabbricherà a 4 nanometri: quando aprirà l'impianto in Arizona nel 2025 saranno di fatto obsoleti in confronto a quelli che produrrà a Taiwan.
Il risultato delle elezioni sarà anche un risultato per gli investitori, che se i venti di crisi dovessero aumentare con una reazione di Pechino più muscolare del previsto, potrebbero iniziare a vendere. O comunque i prezzi delle azioni di diversi colossi potrebbero diminuire. Il test è probante. Difficilmente l'economia globale potrebbe permettersi una nuova crisi (che comunque non appare imminente né inevitabile), soprattutto una così delicata come quella su Taiwan, che oltre ai rischi economici comporterebbe anche quelli militari con l'eventuale coinvoglimento diretto delle due grandi potenze.