Esteri
Taiwan, nuovo braccio di ferro tra Usa e Cina: Pechino blocca l’export a 28 colossi militari USA
La situazione non sembra destinata a migliorare nei mesi a venire
Taiwan, nuovo braccio di ferro tra Usa e Cina
La Cina ha imposto il divieto di export di prodotti dual-use a 28 aziende statunitensi attive nel settore della difesa, tra cui Lockheed Martin, Raytheon Missiles e Boeing Defence. Ad annunciarlo è stato il ministero del Commercio di Pechino, che ha anche inserito dieci delle suddette realtà nella lista delle entità non affidabili a causa della loro cessione di armi a Taiwan.
Proprio il rapporto con Taiwan gioca un ruolo fondamentale nella decisione cinese. Ufficialmente, infatti, il ban alle esportazioni è volto a mantenere la sicurezza della nazione e a rispettare gli obblighi internazionali sulla non-proliferazione degli armamenti. Il sospetto, però, è che si tratti in realtà di una ritorsione per il sostegno (politico, economico e militare) che Washington fornisce all’isola reclamata dalla Repubblica popolare.
Appena due giorni fa, nel suo discorso di Capodanno alla nazione Xi Jinping ha affermato che “i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sono un'unica famiglia” e che “nessuno può recidere i nostri legami di sangue e nessuno può fermare la tendenza storica della riunificazione della madrepatria”.
Le dieci aziende “non affidabili” sono cinque sussidiarie di Lockheed, tre di General Dynamic, Raython Missiles e una joint venture tra questa e Lockheed. Non potranno condurre attività di import-export né fare investimenti in Cina, mentre i dirigenti di alto rango non potranno più entrare nel paese.
“La cosiddetta cooperazione tecnologica militare mina seriamente la sovranità nazionale e l'integrità territoriale della Cina, viola il principio di una sola Cina e le disposizioni dei tre comunicati congiunti tra Cina e Stati Uniti e minaccia significativamente la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan”, ha detto un portavoce del ministero del Commercio. I tre comunicati a cui fa riferimento prevedono che gli Usa riconoscano come unico governo legittimo quello di Pechino e, con questo, la sua rivendicazione che Taiwan sia parte della Repubblica popolare. Vendendo armi a Taiwan, dunque, Washington starebbe contravvenendo ai patti stabiliti.
Già il 27 dicembre Pechino aveva intrapreso azioni contro altre sette società americane, sempre per il loro rapporto con Taiwan: Hudson Technologies, Saronic Technologies, Raytheon Canada, Raytheon Australia, Aerkomm e Oceaneering International.
Nei giorni precedenti, l’amministrazione di Joe Biden aveva approvato il fornimento di materiali e servizi militari per l’auto-addestramento dell’esercito taiwanese per un totale di 571 milioni di dollari, a cui vanno aggiunti altri 295 milioni stanziati autonomamente dal Dipartimento di Difesa. Inoltre, il budget del Pentagono per il 2025 (balzato a circa 895 miliardi di dollari) istituisce un fondo che potrebbe essere usato per inviare risorse a Taiwan in maniera semplificata, sulla falsariga di quello usato per sostenere l’Ucraina.
“Una mossa pericolosa che mina stabilità e pace nello Stretto”, il commento del ministero degli Esteri di Pechino, che ha anche accusato gli Usa di “star giocando col fuoco”. Le tensioni nell’area sono in crescendo da diverso tempo, così come in tutto il Mar cinese meridionale, dove Taiwan, Filippine e Indonesia denunciano ripetutamente l’aggressività della marina cinese.
La situazione non sembra destinata a migliorare nei mesi a venire. Donald Trump, che si insedierà alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio, ha già promesso una guerra commerciale con Pechino, che nell’ottica di questa competizione globale cerca di reagire colpo su colpo con analoghi dazi.