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Forteto, condanna in appello: 15 anni a Rodolfo Fiesoli

Simone Cosimelli

Regge l’accusa contro il sistema Forteto, malgrado il colpo di spugna della prescrizione. Ora il caso in Parlamento

Quasi due mesi di udienze, accesi scontri nei dibattimenti, arringhe infuocate, estenuanti rinvii e 32 ore di camera di consiglio. Nella tesa atmosfera generale, alla fine, dal collegio della Corte d’Appello di Firenze è arrivato il verdetto sul Forteto: regge l’impianto accusatorio e la condanna al sistema, malgrado alcune assoluzioni e sconti di pena maturate grazie al decorrere della prescrizione. Delle 16 condanne sancite dal Tribunale il 17 giungo 2015, 10 sono confermate. Il fondatore del Forteto, Rodolfo Fiesoli – principale imputato per maltrattamenti e violenze sessuali a danno di minori – e Luigi Goffredi, numero due della comunità, ottengono una riduzione di due anni a testa, senza però riuscire a ribaltare l’esito in primo grado: 15 anni e 10 mesi per il primo, 6 per il secondo.

Qui i precedenti dell'inchiesta di Affari Italiani: 

parte 1parte 2parte 3, parte 4

Varia l’assetto risarcitorio a favore delle vittime e degli enti istituzionali. La Cooperativa (il volto economico del Forteto) era stata condannata a sborsare il solido circa 1 milione e mezzo di euro, da corrispondere attraverso provvisionali. Ora, parte della somma verrà addebitata direttamente agli imputati, che dovranno mettere mano al portafogli secondo le disposizioni della Corte. Tra gli interessati ai risarcimenti figurano l’Unione Montana Comuni del Mugello, la Regione Toscana e la Città Metropolitana di Firenze. Vittoria isolata per Stefano Pezzati, storico ex-presidente della coop, che dal Palazzo di Giustizia di Firenze ieri sera è uscito assolto (e in parte prescritto) rispetto ai 4 anni e 6 mesi rimediati l’anno scorso per maltrattamenti. In parte, sul processo ha inciso la prescrizione. Circostanza del resto prevista, in quanto sia il Pm sia i legali delle vittime sapevano che il ritardo nello scoperchiare la cricca di Fiesoli e compagni avrebbe portato, in sede giudiziaria, ad una rivalutazione delle condanne penali.

La partita a scacchi tra accusa e difesa si è giocata sul terreno del diritto costituzionale e dei cavilli giuridici. Gli avvocati della difesa, serrati nel denunciare un complotto ordito dalle vittime per finalità venali, hanno insistito per tutto il processo sul presunto condizionamento esterno (dell'opinione pubblica) sui giudici del Tribunale. «Non si può stigmatizzare chi ha creduto, dopo il '68, in un sistema a metà tra Cristo e Marx solo perché ora non si è d'accordo», tuonavano in aula prima della conclusione. Di contro, però, il Pm Ornella Galeotti, il sostituto Procuratore generale Adolfo Sgambaro e i legali delle parti offese hanno dimostrato la solidità delle accuse mosse alla realtà mugellana. L’anno scorso, infatti, in primo grado, chiamati a testimoniare i ragazzi cresciuti al Forteto e fuoriusciti a seguito dell’inchiesta giudiziaria, raccontarono tra le lacrime gli abusi subiti e una quotidianità fatta di violenze: fisiche e psicologiche. Le procedure aperte sul Forteto, comunque, non si esauriscono col filone principale. In attesa di sentenza c’è il cosiddetto processo Fiesoli-Bis (dove il Profeta è alla sbarra per abusi su un giovane entrato in comunità all’età di 11 anni). Inoltre, resta aperto il fascicolo della Procura su 13 nuovi indagati: 12 per falsa testimonianza in Tribunale in primo grado, uno per abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. La storia, dunque, è tutt’altro che archiviata.

Presente in aula, Jacopo Alberti (Lega), membro della seconda commissione regionale d’inchiesta, ha espresso soddisfazione per la scelta della Coorte. «Mi auguro di cuore – ha affermato – che Fiesoli e Goffredi paghino fino in fondo per le loro nefandezze, una volta che anche la Cassazione avrà modo di giudicarli per la terza volta colpevoli». E poi: «Il Forteto si è confermato una setta che in tanti anni ha goduto impunemente di coperture politico-istituzionali, condizionando pesantemente la vita di tanti giovani». A rincarare la dose, Stefano Mugnai (FI), anche lui uno dei sei consiglieri delegati all’indagine: «Non avevamo alcun dubbio, la verità processuale coincide con quanto abbiamo ascoltato dalle vittime». Però, ha ricordato, «manca ancora qualcosa: le scuse di tutte quelle istituzioni, quella politica, quei professionisti che hanno reso possibile una tragedia lunga trent’anni. Quando tutto l’iter giudiziario si sarà esaurito, i bambini che il Tribunale per i minorenni toglieva a famiglie problematiche per consegnarli agli orchi della setta dovranno essere considerati vittime di Stato».

E proprio qui si gioca adesso la partita. La scottante relazione sulle responabilità isitutzionali consegnata alla Regione Toscana dalla commissione fa i nomi di chi doveva vigilare e garantire e invece non lo ha fatto. A inizio agosto sarà dibattuta in consiglio regionale con lo spettro di una battaglia tesa a occultarne i punti cardine. Il caso Forteto dovrà passare per i palazzi della politica fiorentina prima di arrivare a Roma, in Parlamento, dove verranno richiesti interventi concreti per stroncare la setta: commissariamento dell’azienda e immediata inchiesta parlamentare – che abbia poteri giudiziari – per arrivare fino in fondo. Ma il Pd, malgrado la retorica sbandierata per mesi, ha subito sconfessato le 85 pagine di denuncia, rimproverando un accanimento contro un sistema di connivenze che non esisterebbe. Ma Paolo Bambagioni, presidente (del Pd) della commissione Bis, bersagliato dal suo stesso partito per aver ammesso colpe che si vorrebbero tacere, non si è piegato per opportunismo, convinto della necessità di nazionalizzare il caso. «Di quel documento – ha precisato - io non cambio una virgola».