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Antonio Manzini, Gli ultimi giorni di quiete: la giustizia oltre la legge
Un romanzo che parla di tre anime costrette a fare i conti con sé stesse e con la vita, quando la giustizia non basta a stabilire ciò che è giusto
Gli ultimi giorni di quiete
Cosa fai se l’assassino di tuo figlio esce di prigione dopo cinque anni invece che quindici? Ma anche solo: cosa fai quando l’assassino di tuo figlio esce dal carcere? O più semplicemente: cosa fai quando ti uccidono un figlio? Non si riesce neanche a rispondere a queste domande. Quando muore un figlio la vita si ferma. Ma quando muore perché te lo uccidono la vita smette proprio di esistere. Per lui, per te, per tutti. O almeno così dovrebbe essere. O almeno così pensa Nora.
Il 6 marzo 2010 cambia per sempre le vite dei quattro personaggi raccontati da Gli ultimi giorni di quiete, e le intreccia per sempre in modo indissolubile. Un romanzo che racconta la morte e la rinascita di questi personaggi. E non per forza in quest’ordine. Parte lento, continua a tratti un po’ debole, forse un po’ ripetitivo, ma poi recupera decisamente sul finale, sconvolgendo le aspettative. Dei lettori e dei personaggi stessi. Un finale che è un pugno allo stomaco, che però ci apre gli occhi sui vari significati della morte e della rinascita. E della vendetta.
E pone interrogativi inquietanti: si può davvero pagare il proprio “debito con la giustizia” semplicemente scontando in prigione gli anni decisi dal giudice? E poi come se ne esce? Migliori, rinati, risanati? Quanti anni di prigione vale una vita umana? Quanti anni di prigione servono per cambiare? Ma soprattutto, si cambia davvero solo perché lo si vuole? Bastano un lavoro in regola e un progetto di coppia per rifarsi una vita?
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Forse sono troppe domande, ma è esattamente questo che fa il libro: pone domande. A cui non offre risposte. Perché non c’è un solo modo per rispondere alla tragedia, e tutti possono sembrare giusti o sbagliati a seconda del punto di vista da cui li si considera. Ogni mossa, ogni parola di ognuno dei tre protagonisti ha un suo motivo, è frutto di una scelta, a volte condivisibile, a volte meno. Oppure, a volte è condivisibile ma non si può dire, perché troppo spietata, troppo bassa, troppo crudele… e tuttavia, se riusciamo a pensarla, significa che ha un suo fondo di verità, di giustizia. Ed è questa un’altra cosa che fa il romanzo: costringerci ad ammettere che non sempre la giustizia è giusta. O che non sempre quello che ci appare più meschino è sbagliato. O che, più banalmente, a volte permetterci un po’ di cattiveria è giusto.
Antonio Manzini sembra raccontare il dolore nella piattezza di giorni tutti uguali, di luoghi anonimi, e poi finisce per travolgerci di interrogativi e dubbi e ribollimenti di coscienza che non si dimenticano tanto facilmente. Il merito va al fatto che la protagonista è Nora, ma il punto di vista cambia di volta in volta, permettendoci di guardare la situazione attraverso gli occhi di tutti i personaggi. Ognuno ha le sue ragioni e i suoi torti, ognuno fa le sue scelte, ognuno è arrivato a quel bivio della vita in cui non può più tergiversare, deve agire, decidere, rispondere, al di là della giustizia e della legge. Basta questo per capire? No. Ma Gli ultimi giorni di quiete è quel pugno allo stomaco che ogni tanto fa bene ricevere.