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Arriva il manuale (critico) delle sardine
Di Claudio Bernieri
Piccolo manuale per le elezioni in Romagna: esce dalle edizioni Piemme, ovvero da mamma Mondadori , un pamphlet corrosivo sulla identità delle sardine.( Contro l’onda che sale, perchè le sardine e gli alteri pesci lessi della sinistra sono un bluff)) . Autore delle 169 pagine Francesco Borgonovo, poliedrico pensatore, vicedirettore del quotidiano La Verità , inchiestista di valore, incessante conferenzologo , autore del fumetto Adam, scrittore maratoneta ben posizionato nel mercato letterario. Dove troverà il tempo per decrittare la realtà politica pubblicando in continuazione saggi , libri ,pamphlet , articoli , il poliedrico Borgonovo ?
“Erano quattro amici pieni di voglia di fare,” ora racconta nella sua nuova fatica, E’ l’avventura di “ quattro amici al bar”, quasi un revival della canzone di Gino Paoli. Borgonovo descrive la genesi del pensiero sardinesco, realizzato da quattro amici bolognesi che arrivano in pochi giorni a costruire una macchina da guerra mediatica che è entrata nel panorama politico nazionale. Ed è qui che l’inchiestista Borgonovo ci mostra il back stage del nuovo movimento. «Le sardine sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi.» ci raccontano i quattro amici al bar. E da queste affermazioni liquide, Borgonovo parte,. Ecco una sintesi della sua inchiesta.
LA GENESI
Non stiamo assistendo a un nuovo Sessantotto o a un Settantasette. Non c’è nemmeno, nell’aria, l’elettricità rivoluzionaria che animava i cosiddetti No Global nei primi anni Duemila. C’è, semplicemente, una fazione politica – la sinistra italiana o quel che ne rimane – che tenta di fermare il fenomeno, quello sì, di enormi dimensioni e di portata sovranazionale, che prende il nome di sovranismo. Descrivere le sardine come la risposta fisiologica all’avanzare dei cosiddetti populisti significa sopravvalutarle. In fondo, tutto il caso sardine è frutto di una gigantesca sopravvalutazione.
LA SARDINA
Hanno scelto un simbolo: la sardina, un pesce piccolo la cui forza è muoversi in branco. E muto, per opporsi ai populisti urlatori.
Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia T poloni e Andrea Garreffa, amici da una vita, laureati e un lavoro stabile, poco social, molto impegno nel sociale, hanno deciso di continuare a nuotare rispondendo alle tante richieste che arrivavano da altre città, prima Modena, poi fuori dall’Emilia: Sorrento, Palermo, Torino, Milano, sino alle capitali europee e Roma il 14 dicembre. Un giro, oltre 100 piazze. Il format? Un flash mob: si va in piazza, discorsi brevi, musica e a casa dopo un’ora.
LA NASCITA DEL MOVIMENTO
Il capo è Mattia Santori, 32 anni, laurea magistrale in Economia e diritto. Un impiego fisso, grande passione per lo sport. Secondo alcune agiografie insegna atletica e basket a bambini e disabili di Bologna, ma è pure istruttore di frisbee, che pratica a livelli agonistici e insegna agli universitari. È lui ad avere l’idea di organizzare una manifestazione di protesta. Così chiama i suoi ex coinquilini: Giulia Trappoloni, fisioterapista, 30 anni; Roberto Morotti, ingegnere che si occupa di riciclo, 31 anni; Andrea Garreffa, guida turistica, 30 anni. Sono in quattro, come i Ghostbusters, e vogliono liberare la loro terra dai fantasmi fascistoidi denominati sovranisti. Al «Corriere della Sera», Santori ha spiegato di aver inviato agli altri sodali un sms: «Devo parlarvi». Quando gli amici hanno risposto all’appello, ha aggiunto il capetto, «ho spiegato cosa avevo in testa e ho chiesto se ci stavano». Ci sono stati.
Perche piacciono .Solo belle parole, belle facce, buone intenzioni.
SILICON VALLEY EMILIANA
C’è persino la pennellata in stile Silicon Valley: il movimento nato grazie a Facebook, come la famigerata primavera araba. Si respira aria di garage californiano, il cielo di Bologna ha le stesse tonalità di quello che sovrasta i campus universitari in cui i geek brufolosi cambiano i destini del mondo smanettando con circuiti e algoritmi. Anche qui, però, con moderazione. Un po’ di internet e digitale, ma non troppo.
IL LOOK
Servono facce pulite, non ex comici ringhianti. E Mattia Santori per la parte è semplicemente perfetto. Corpo sottile e scattante, viso da bambino reso appena più ruvido da un accenno di barba incolta. Su Internet circolano vecchie foto in cui appare in camicia, ordinato come potrebbe esserlo uno stagista fresco di laurea. Per il ruolo di capopopolo, invece, è utile la chioma arricciata e selvaggia, talvolta addomesticata da un cerchietto che diviene
simbolo del comando. Gli abiti sono sportivi, o comunque casual sul genere “alternativo emiliano”, si collocano circa a metà della scala che va dal catechista di sinistra al militante della sinistra giovanile fine anni Novanta. Leggermente fuori moda, come per sancire un altezzoso distacco dalle brutture del presente.
IL BUSINESS DEL BRAND
C’è il marchio, c’è la pagina Facebook “6000 sardine”. C’è il sito www.6000sardine.it. Tramite il sito, si può acquistare una sardina di stoffa alla modica cifra di 8 euro. Le confeziona l’associazione di promozione sociale bolognese Vicini d’Istanti che si occupa di «inserimento sociale e lavorativo di richiedenti asilo, nello specifico nel campo della sartoria». «Repubblica» ha subito provveduto a raccontare la storia commovente: «Stoffe africane e materiali di recupero: ecco la sardina colorata e solidale. Costa 8 euro e serve ad autofinanziare il movimento per le spese di coordinamento, visto che le piazze si moltiplicano, e a sostenere iniziative di volontariato. È l’associazione Vicini d’Istanti, che si occupa di inserimento sociale e lavorativo di richiedenti asilo nel campo della sartoria, a lanciare l’iniziativa».
«Vicini d’Istanti» scrive ancora il quotidiano «promuove la moda etica, cucendo con ago e filo anche l’integrazione. Partita come sartoria su misura, ora si affiancano capi di prêt-à-porter, accessori, arredo casa, creati dalle mani dei sarti Mamadou Camara, fondatore, e Hamadi Diallo».
I MISTERI
la pagina della rivista Energia (w gia.it) di cui Santori è redattore e firma. Di che si tratta? Lo ha spiegato Capezzone: la rivista in questione è diretta da Alberto Clò.
Alberto Clò è «infine noto alla cronaca anche per aver ospitato nella sua casa di campagna nel 1978 la discussa seduta spiritica a cui parteciparono Romano Prodi e Mario Baldassarri (oltre al fratello di Clò) in cui venne rivelato il nome “Gradoli”, dove sarebbe stato tenuto prigioniero Aldo Moro. Furono mandati Carabinieri ed esercito a rastrellare il comune di Gradoli senza risultati.
SARDINE RENZIANE
Il nostro Mattia si è laureato in Economia e diritto con una tesi intitolata Il fantasma del Tav spaventa le grandi opere italiane. Consenso e partecipazione nelle politiche infrastrutturali del nostro Paese. Più che di sinistra estrema, dunque, qui si tratta di progressismo istituzionale, siamo in piena tendenza liberal, cioè quella che – almeno inizialmente – ha più caratterizzato l’immagine pubblica delle sardine e ha spinto numerosi esponenti del Pd a schierarsi con i pesciolini da piazza.
SARDINE DI DESTRA
Si tratta di Filippo Rossi, un intellettuale che si è sempre definito “di destra”. Direttore artistico del festival Caffeina, coautore anni fa di un libro che suscitò un notevole dibattito (Fascisti immaginari, edito da Vallecchi), Rossi ha fatto scalpore quando il suo nome è spuntato tra quelli dei moderatori delle pagine Facebook delle sardine romane e milanesi. «Questa mia piccola goccia nel mare delle sardine è senza dietrologie. Sto dando una mano a degli amici amministratori dei gruppi di Roma e Milano» ha detto l’interessato in una intervista a TusciaWeb. Ecco la prima “sardina di destra”, dunque, ma di una destra “buona” ostile ai sovranisti. «È una destra che si fa sentire contro una politica fatta di rabbia, odio e propaganda» ha aggiunto Rossi. «Sono certo che c’è un popolo anche di destra che non accetta questo dominio di estremismo.» Quando gli hanno chiesto che futuro immaginasse per le sardine, il “destro” ha risposto: «Lascio queste analisi ai giornalistoni. È un movimento spontaneo, non vedo un partito in nuce. Vedo una grande voglia di partecipare per dire
che l’Italia non è solo quella lì, e questo mi sembra già abbastanza. Non mi faccio illusioni. Non è una struttura partitica. I gruppi Facebook nascono come ogni tam tam spontaneo sui social.
Il fascistello da salotto fa simpatia, come un negretto istruito o come un nano da giardino. Non parla con la pancia, non dà sfogo alla rabbia, al risentimento, all’odio sociale. Del resto lui è ben pasciuto, grazie alle elemosine che gli vengono dal fronte progressista: becchime per l’uccello canterino del pensiero unico.
GESU’ E LE SARDINE
Mattia Santori è grande, e Dacia Maraini è il suo profetessa. La celebre scrittrice, in piena estasi religiosa, la vigilia di Natale del 2019 ha pubblicato sul «Corriere della Sera» un articolo visionario, in cui – pervasa dal fuoco mistico – ha paragonato le sardine a Gesù. Prima ha definito Cristo «un giovane uomo che ha riformato la severa e vendicativa religione dei padri, introducendo per la prima volta nella cultura monoteista il concetto del perdono, del rispetto per le donne, il rifiuto della schiavitù e della guerra» riducendo di fatto il Nazareno ad attivista sessantottino. Poi, non paga, ha scritto: «Oggi la novità del movimento delle sardine ricorda alla lontana le parole di un pastore povero che a piedi nudi portava a pascolare le pecore». Ora, che Santori si senta investito di un ruolo messianico può anche darsi, ma dargli credito in questo modo è eccessivo persino per la stampa italiana.
LA MISSON
E poi c’è quella terribile dichiarazione di intenti: «Siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete. E lo stiamo già facendo. Perché grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare. Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta. Lo faremo nelle nostre case, nelle nostre piazze, e sui social network». Significa, in sostanza: faremo di tutto per togliervi la parola. I populisti non hanno il diritto che qualcuno li stia a sentire, in realtà non hanno nemmeno il diritto di esistere.
LA CENSURA
Il compianto Vladimir Bukovskij fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico dalle autorità sovietiche per aver letto pubblicamente poesie considerate sovversive. Nel 1972 Bukovskij pubblicò in Italia un libro, ormai quasi introvabile, con un titolo piuttosto eloquente. Si chiamava Una nuova malattia mentale in Urss: l’opposizione. Si diceva, laggiù, che contro il comunismo non potesse agire che un pazzo, e a partire dal 1961 il ministero della Salute sovietico diramò specifiche direttive per il ricovero coatto in strutture psichiatriche di chi si rendesse colpevole di “atti sovversivi”.
È in questa nobile tradizione che sembrano volersi collocare le sardine con il loro desiderio potente di zittire tutti gli oppositori, di identificarli come moralmente inferiori.
Il piccolo manualetto del sardinologo ,scritto da Borgonovo, forse redatto su una mitragliatrice Olivetti Lettera 22 ( il modello usato dalla Fallaci , da Montanelli e da Feltri ) si conclude con una ironica analisi del fenomeno Checco Zalone. Borgonovo lo cita alla fine del libro, triste epigrafe lapidaria last minute sul Politicamente Apocalitticamente Corretto
«Purtroppo non si può dire più nulla» ha dichiarato Zanone. «Se riproponessi certe imitazioni di dieci anni fa mi arresterebbero. Oggi non potrei scherzare, come facevo, che so, su Tiziano Ferro e sugli “uominisessuali”». Non è di sinistra, Zalone. Ma nemmeno «sovranista». Ha votato centrodestra, poi centrosinistra. Come tanti. E ha ripetuto: «L’unica cosa atroce, qui, è la psicosi del politicamente corretto. C’è sempre qualche comunità, o qualche gruppo di interesse, che si offende». Già: c’è sempre qualcuno che si indigna perché si sente migliore, qualcuno che fa la morale, qualcuno che prova a zittire chi non la pensa nel modo giusto.”
Conclude sconsolato Borgonovo:” Le sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono soltanto i pesci allevati da una sinistra all’ultima spiaggia”.
Al lettore pescatore la curiosità di leggere le 169 pagine della ultima fatica di Borgonovo, magari nella solitudine della spiaggia del Papete, mentre la vecchia canzone di Ruggeri gira nel lungomare vuoto: “E io che rimango qui solo a cercare un caffè”