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La valle dell’anima, Adelphi pubblica le lettere di John Keats
L’epistolario con le lettere scelte dal 1815 al 1820, appartenuto a uno dei massimi esponenti del Romanticismo inglese
John Keats, Lettere scelte 1815-1820. Recensione
Ci sono poeti che, più di altri, esprimono sé stessi nella corrispondenza che per tutta la vita li accompagna, oltre alle opere di cui abbiamo già conoscenza. Non basta: ci sono, talvolta, aspetti della personalità che emergono soltanto negli scritti più intimi e ci permettono di meglio conoscere l’uomo dietro all’artista, o addirittura di reinterpretare la poesia con occhi nuovi. È per questo che, quando è possibile, avere accesso all’epistolario privato di uno scrittore significa spalancare una finestra sul suo mondo: è affascinante, oltre che utile e piacevole.
Tra coloro che riversano con maggiore intensità sé stessi nelle lunghe pagine indirizzate ad amici, parenti e all’amata c’è senza ombra di dubbio John Keats, tra i massimi esponenti del Romanticismo inglese. Abbiamo letto tutti, almeno una volta, la sua Bright star, ma scoprirne i retroscena è un lusso che vale la pena concedersi; allo stesso modo, sbirciando tra le righe delle sue missive si scopre un altro Keats, quello che realmente scrisse tali versi immortali, al di là dell’immagine leggendaria tramandata da biografie romanzate e film. Ecco allora che sarà un’avventura sorprendente immergersi ne La valle dell’anima, ovvero le Lettere scelte 1815-1820 di John Keats edite di recente da Adelphi in un bel tomo dai colori caldi, con in copertina il suo ritratto realizzato da Joseph Severn.
Si tratta della più ampia raccolta di lettere del poeta mai pubblicata nel nostro Paese, relativa all’ultima parte della sua breve vita, quando prese la decisione di lasciare l’adorata Inghilterra per recarsi in Italia in compagnia di un amico: la tubercolosi lo stava ormai uccidendo, ma Keats sperava ancora che l’aria mite di Roma avrebbe giovato alla sua salute e presto sarebbe stato in grado di sposare la sua Fanny. Non andò così: appena ventiseienne, si spense lontano dalla famiglia e dalla patria, lasciando incompiuti o mai realizzati molti progetti, letterari e non.
Proprio il periodo cruciale che questo epistolario rappresenta ci consente di entrare in contatto con l’anima fragile, spaventata ma combattiva di John Keats: una documentazione davvero preziosa, dunque, alla quale si aggiungono come corollario numerose note di commento che, a loro volta, ci aiutano a contestualizzare e comprendere meglio alcuni passaggi.
Destinatari delle lettere sono gli amici più cari, i familiari, i colleghi e agenti, gli interlocutori letterari e ovviamente Fanny Brawne, la fulgente stella che fino all’ultimo strapperà parole struggenti alla sua penna: “Il futuro non promette altro che spine (…). Vorrei tanto stare tra le tue braccia pieno di fiducia o essere colpito da un fulmine”.
Negli anni finali della sua travagliata esistenza per Keats esistono due sole possibilità: l’amore o la morte. Ma a quest’ultima non guarda con timore e repulsione, al contrario – come nel tipico spirito romantico – essa rappresenta una liberazione, il concludersi di ogni male: “Sono lieto che esista la tomba. Sono sicuro di non poter trovare pace se non lì”.
Scrive nella postfazione di chiusura al libro Alessandro Gallenzi, traduttore, autore ed editore: “Chi dovesse cercare nelle lettere di Alexander Pope, Lord Byron o altri grandi scrittori del passato una misura del loro genio resterebbe di certo deluso. Non così in quelle di John Keats: il suo epistolario è giustamente considerato da critici e lettori un vero e proprio capolavoro equiparabile alle sue poesie più famose”.
Vi sono, all’interno, i versi che spedisce a George Felton Mathew e quelli per Charles Cowden Clarke, oltre a molti altri, perché per lui il fare poesia è un tutt’uno con il redigere lettere o prosa, se non persino con il pensare; vi sono parti di atti teatrali, stralci di sceneggiature tratte da opere amate che insieme agli amici commenta, aprendo su di esse lunghe e profonde riflessioni; vi sono note economiche e logistiche che ci danno la misura di come egli gestisse la sua quotidianità, passando così dall’elevata vetta di una lirica alla mera necessità del mangiare o dell’alloggiare; vi sono tematiche sociali ed etiche trattate con lucidità e realismo. Vi è, soprattutto, quella passione che lo ha reso celebre tanto quanto ha fatto la sua arte, poiché è chiaro che se John Keats non avesse amato Fanny Brawne e non avesse speso parole sublimi per lei, l’intero personaggio che noi oggi conosciamo non esisterebbe alla stessa maniera, e probabilmente neppure la sua produzione poetica sarebbe la stessa.
“Abbiamo passato pochissimo tempo insieme: ti sono però sempre vicino col pensiero. Non hai nessun altro al mondo, al di fuori di me, che sacrificherebbe tutto per te. Sento di essere l’unico che può proteggerti. In ogni tua piccola difficoltà ricordati di me… pensando che c’è almeno una persona qui in Inghilterra che ti aiuterà a risolverla, se gli è possibile. Vivo con la speranza di poterti rendere felice”.