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Memoria, nuova malattia sociale che affligge l'Europa: dimenticare il passato
Crescono i segnali d'allarme sulla perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia. Nella realtà italiana c'è un passato che sembra dimenticato
Le intermittenze della memoria
«La storia intellettuale dell’umanità – ha scritto Jurij M. Lotman – si può considerare una lotta per la memoria. Non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi».
La verità di questa osservazione non ha bisogno di essere dimostrata. Basta ripercorrere rapidamente i momenti fondamentali della storia dell’Europa e del mondo per trovarci davanti a continue conferme. Se ne viene prendendo coscienza sempre piú man mano che l’onda di alta marea della cultura europea si ritira e fa emergere storie di culture represse o dimenticate. Non è la prima volta che questo accade. La stessa cultura europea prima di diffondere nel mondo il calendario di un tempo giudaico-cristiano dovette fare i conti con l’antichità pagana.
Ma oggi nella lotta per la memoria, l’Europa, per secoli protagonista nell’uso della sua cultura come mezzo per conquistare e addomesticare tutte le altre, appare sempre piú in posizione di difesa quando non di silenzioso arretramento. E davanti alla sua storia sembra provare un desiderio bizzarro: quello di fermarla. Forse anche oggi, come nell’età del classicismo francese descritta da Paul Hazard in un suo celebre libro, «il povero navicello umano ha toccato finalmente il porto: possa rimanervi a lungo, rimanervi sempre! […] si vorrebbe fermare il tempo». E magari oziare tra le pagine di un libro di gran successo dello storico israeliano Yuval Noah Harari che pochi anni fa (dunque prima del Covid-19) parlava di un trionfale presente in cui l’umanità si era lasciata per sempre alle spalle «carestie, pestilenze e guerre».
Allora, in laboratori accademici piú cauti la crisi della coscienza europea aveva già rallentato gli assemblaggi frettolosi di storie del mondo intero («Global History» e «World History»). Quei bilanci di chiusura, buoni per guardare serenamente a una umanità tutta unita e pacificata lasciandosi alle spalle barriere identitarie e rancori nazionalistici, cozzavano sempre piú con una esplosione incontrollabile di etnie, religioni e tradizionalismi chiusi, intolleranti e arcigni verso chi bussava alla porta del ricco Occidente.
Un fatto è certo: siamo davanti a un mutamento profondo. Chi nel 1989 (Francis Fukuyama) aveva immaginato ormai raggiunta la «fine della storia» col crollo del muro di Berlino e giunto il tempo di fermarsi a godere i frutti della liberaldemocrazia e del capitalismo ha poi dovuto fare i conti con l’unica legge fondamentale della storia umana, il mutamento. Cambiano le generazioni e i figli assomigliano ai loro tempi piú che ai loro padri, come scrisse Marc Bloch.
La prospettiva delle nuove generazioni si è fatta diversa da quella dei loro padri, il mondo umano è cambiato, gli spazi e i tempi nuovi sono diversi dagli antichi, quelle che sembravano conquiste ferme e indiscutibili devono di nuovo sottoporsi alla prova della nuova configurazione del mondo. E chi profetizzava la fine della storia è stato presto disingannato. Quello che invece si è fatto sempre piú evidente è un processo che potremmo definire di distruzione del passato. La definizione non ci appartiene. È stato Eric Hobsbawm nel suo celebre Secolo breve a individuare questo fenomeno con parole degne di attenta lettura:
La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni piú tipici e insieme piú strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.
Da quando sono state scritte queste parole il fenomeno si è fatto sempre piú evidente, tanto da suscitare diversi allarmi dando vita a diagnosi di vario genere. Oggi si va dicendo che una nuova malattia sociale incomberebbe su di noi: quella della memoria. Inevitabile pensare per analogia alla patologia individuale dell’Alzheimer. Ma mentre questa suscita angoscia al solo evocarla, l’offuscarsi della coscienza e della conoscenza storica nella società sembra passare quasi inavvertito. Eppure è un fenomeno diffuso in molti ambienti e in diverse fasce sociali, minaccia specialmente le nuove generazioni e il mondo della scuola e devasta quello della politica. La cosa non riguarda solo l’Italia: affligge anche altri Paesi di un’Europa formalmente unita eppure resa da questa malattia sempre piú fragile e spesso irriconoscibile.
[Estratto dal libro Un tempo senza storia, la distruzione del passato, di Adriano Prosperi, consultabile liberamente sul sito dell'editore Einaudi]