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Guerra Israele Hamas, la Rai resta in silenzio. Nemmeno uno speciale in prime
Del conflitto parlano solo Vespa e Maggioni
In Rai non si parla in prima serata del conflitto in Israele. Ecco perché
La guerra tra Israele e Hamas? Basta la seconda o terza serata. Lo sottolinea oggi il Fatto Quotidiano. Da quando è riscoppiato il conflitto tra israeliani e palestinesi, "la tv pubblica è andata avanti come se niente fosse, senza stravolgere il palinsesto. Le uniche concessioni sono state un’edizione straordinaria del Tg1 sabato scorso della durata di un quarto d’ora, uno speciale del Tg2 Post sempre sabato fino alle 22:30 (3,7%) e un’ora in più concessa a Monica Maggioni domenica pomeriggio su Rai3", scrive il Fatto Quotidiano.
Secondo il quotidiano diretto da Marco Travaglio "si è andati avanti col palinsesto normale, come se nulla fosse. Nessuna straordinaria, nessuna maratona pomeridiana né, soprattutto, speciali in prima serata. Che invece erano andati in onda allo scoppiare della guerra in Ucraina. Dunque a occuparsi della guerra sono stati –oltre ai tg, che hanno fatto buoni ascolti – Maggioni domenica, Bruno Vespa nella seconda serata di martedì, mercoledì e giovedì (oltretutto conducendo da casa causa Covid) e Linea Notte di Monica Giandotti, a mezzanotte sul terzo canale".
Il Fatto Quotidiano spiega anche i possibili motivi di questa scelta: "La paura che la guerra non facesse ascolti. Soprattutto in un momento di grande difficoltà, con la tv pubblica che smarrisce 248 mila telespettatori nel giorno medio (secondo i dati Auditel elaborati dallo Studio Frasi) e perde costantemente in prime time e in day time con Mediaset, s’è preferito non rischiare".
Ma secondo il Fatto, "qualche input sarebbe arrivato addirittura da Palazzo Chigi. Nessun ordine preciso, naturalmente, ma chiacchierate informali con le persone giuste: avendo il governo italiano sposato una linea totalmente filo-israeliana, parlare dei bombardamenti e dell’imminente entrata dell’esercito con la stella di David a Gaza potrebbe influenzare in senso opposto l’opinione pubblica", conclude il Fatto.