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MediaTech
Rai Documentari, Giammaria: “Siamo pronti a osare per conquistare i giovani”
Foto di Amedeo M. Turello

Il documentario nel 2019 ha rappresentato il 31% degli investimenti nel genere audiovisivo nel mondo, quasi raggiungendo la fiction. Un settore in costante crescita, che ha beneficiato dei nuovi trend di visione emersi durante la pandemia da Covid, e in cui la Rai ha deciso di rafforzare la propria presenza creando Rai Documentari, alla cui direzione, da gennaio 2020, c’è Duilio Giammaria. Affaritaliani.it l’ha intervistato.

I documentari stanno diventando sempre più importanti, piacciono al pubblico e attirano investitori. Qual è la situazione dell’Italia, con la Rai: stiamo entrando nel mercato troppo tardi?

No, diciamo che stiamo prendendo la rincorsa per un grande salto che permetterà di recuperare il tempo perduto e contrastare la convinzione che la tv di diretta basta a tutto: la tv di diretta, che è un bellissimo linguaggio, basta solo a sé stessa. E bisogna fare i conti col fatto che l’arrivo delle piattaforme, della serialità, della fiction e dei documentari ha ridato slancio a un settore che sembrava uno dei tanti che vivacchiava, mentre ora tutto il mondo guarda i documentari. È un modo per valorizzare un patrimonio storico importante ma, certo, ha anche un valore economico.

Il pubblico giovane sembra preferire le piattaforme di streaming come Netflix, Amazon Prime Video, mentre è ancora diffusa l’idea che la Rai sia più una tv per adulti, troppo tradizionalista. È d’accordo? Qual è il target di riferimento di Rai Documentari?

Queste piattaforme sono nate nel mondo della Silicon Valley, rispetto al quale noi siamo naturalmente un po’ indietro, ma l’avvento di Rai Play ha dimostrato che saper utilizzare il patrimonio di famiglia consente uno sviluppo e un recupero enorme. È vero che magari il pubblico della Rai complessivamente è invecchiato e non si è rinnovato, e noi vogliamo ancora parlare alle famiglie italiane, ma è anche vero che nell’ultimissimo periodo si è fatto molto per raggiungere i più giovani e gli ascolti sembrano darci conferme.

E cosa pensa di fare Rai Documentari per il pubblico più giovane?

Principalmente, creare delle connessioni con la storia contemporanea, e l’esempio di SanPa è emblematico. Non è un caso che stiamo lavorando col gruppo che l’ha prodotto per sviluppare altri progetti insieme. È stato visto da una platea molto giovane e tanti ragazzi hanno scoperto così il fenomeno della droga e delle comunità di recupero degli anni Settanta, con una curiosità che ha sorpreso tutti. Questo ci conferma che il documentario è un perfetto strumento di connessione tra generazioni, e se fatto bene riesce a parlare al pubblico dei più maturi incuriosendo al tempo stesso i giovani. Avremo molte produzioni che puntano a questo, di riscoperta della storia contemporanea, perché gli adolescenti hanno voglia di sapere cosa c’era prima di loro, come hanno vissuto genitori e nonni, e non sempre la tv di diretta, dei talk show, soddisfa questa curiosità. Certo non si può semplicemente mettere immagini di repertorio e voce fuori campo, ormai è un linguaggio sorpassato: stiamo pensando a come comunicare al meglio, è questo il vero sforzo di creazione e ideazione.

Rai Documentari come si pone rispetto alla concorrenza? Penso a Sky Arte con i suoi documentari in hd o a Netflix che propone tematiche e personaggi anche forti o scottanti: Tiger King, Rocco Siffredi, Epstein, le vite dei serial killer, sette religiose, sessualità… La Rai è pronta a osare in questo senso?

Questi fenomeni sono capifila del genere, segnali che abbiamo colto e stiamo interpretando. Stiamo progettando un excursus sulla beat generation, che per la prima volta ha valorizzato l’esistenza dei giovani in una società molto tradizionalista, e un documentario sulla vera storia di Bella Ciao, che da canto popolare italiano è diventato l'emblema della libertà nel mondo. Collaboriamo con l’estero, con le tv francese, tedesca, inglese, e stiamo lavorando con un gruppo australiano sulle grandi tematiche ambientali. Abbiamo tra le mani la storia meravigliosa di un giovane cameramen grazie al quale esistono le uniche, esclusive e inedite immagini della scalata del K2: portò una 16mm fino agli 8mila metri sfidando la morte. Abbiamo avviato una collaborazione con il ministero della cultura per raccontare le opere d’arte dimenticate nei depositi dei musei italiani che andremo a restituire ai propri luoghi d’origine riscoprendo così anche posti meno conosciuti dell’Italia.

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