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WikiLeaks, altra chance per Assange: ok a nuovo ricorso contro estradizione
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, potrà presentare ricorso alla Corte Suprema di Londra contro l'estradizione negli States
WikiLeaks, Assange presenterà ricorso contro estradizione negli Stati Uniti. L'ultima parola spetta alla Corte Suprema di Londra
Julian Assange potrà presentare appello alla Corte Suprema britannica contro l'estradizione negli Stati Uniti, dove lo attendono 18 capi di accusa per spionaggio e pirateria informatica che potrebbero costargli fino a 175 anni di carcere. L'Alta corte di Londra ha accolto la richiesta depositata dai legali del fondatore di WikiLeaks per "questioni di diritto di rilevanza pubblica generale". Lo stesso tribunale, lo scorso 10 dicembre, aveva ribaltato la sentenza di primo grado che, il 5 gennaio 2021, aveva negato la consegna del cinquantenne australiano alla giustizia americana sostenendo che il suo stato psicologico lo avrebbe potuto spingere al suicidio.
Nel mirino di Washington per aver diffuso 500 mila documenti coperti da segreto, molti dei quali relativi alle attività belliche Usa in Afghanistan e Iraq, Assange per il momento rimarrà nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, la cosiddetta "Guantanamo di Londra", in quello che è l'ultimo capitolo di una lunga saga giudiziaria che ha fatto sorgere complessi interrogativi sui confini tra libertà di stampa e sicurezza nazionale.
Registrato nel 2006, Wikileaks inizia la sua attività l'anno dopo. Assange garantisce alle sue fonti la massima protezione informatica possibile e il sito inizia a pubblicare informazioni riservate e documenti segreti che mettono in imbarazzo i governi di mezzo mondo. Nei dieci milioni di 'leak' diffusi dal sito, che collabora con dissidenti da ogni angolo del pianeta, verranno messe in luce la repressione cinese della rivolta tibetana, le purghe contro l'opposizione in Turchia, la corruzione nei Paesi arabi, le esecuzioni sommarie compiute dalla polizia keniota.
Il principale bersaglio di Assange sono però gli Stati Uniti. La prima volta che Wikileaks cattura l'attenzione della stampa internazionale è nel 2007, quando viene pubblicato il manuale per le guardie carcerarie di Guantanamo. La semplice pubblicazione dei documenti però non basta. L'internauta medio non ha il tempo né gli strumenti per orientarsi tra migliaia di file. Serve qualcuno che separi il grano dal loglio. E questo lo sanno fare solo i giornalisti.
A luglio 70 mila documenti confidenziali sulle operazioni della coalizione internazionale in Afghanistan vedono la luce grazie al lavoro congiunto di Wikileaks e alcune delle più prestigiose testate mondiali: il New York Times, il Guardian, Der Spiegel, Le Monde ed El Pais. Un modello di collaborazione internazionale destinato a restare (un esempio su tutti, il caso dei "Panama Papers"). A ottobre è il turno di 400 mila carte riservate sull'invasione dell'Iraq, dalle quali emergono le violenze delle truppe americane nei confronti dei civili. Il mese dopo vengono pubblicati 250 mila cablogrammi diplomatici Usa dai quali emergono giudizi spesso poco lusinghieri sui partner di Washington.
Ad aver reso possibile la colossale fuga di notizie è un militare statunitense, Bradley Manning (Chelsea Manning, dopo l'operazione per cambiare sesso), che gira ad Assange 700 mila documenti classificati. Condannata a 35 anni, Manning sarebbe poi uscita di prigione il 17 maggio 2017, dopo che l'allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva commutato la sua pena.