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WikiLeaks, altra chance per Assange: ok a nuovo ricorso contro estradizione

Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, potrà presentare ricorso alla Corte Suprema di Londra contro l'estradizione negli States

WikiLeaks, Assange farà ricorso contro estradizione negli Stati Uniti. L'ultima parola alla Corte Suprema di Londra

Il "cablegate" rende Assange un'icona internazionale della libertà d'espressione e la bestia nera delle autorità. Il programmatore australiano è nel mirino di molti governi e negli Usa c'è chi ritiene collabori con i russi, un sospetto che sarà rafforzato nel 2013, quando suggerirà a Edward Snowden di rifugiarsi a Mosca, consiglio che la talpa dell'Nsa seguirà.

È proprio alla fine del 2010 che iniziano i guai di Assange con la legge, e non per la pubblicazione di segreti di Stato. Il 18 novembre la magistratura svedese lancia un mandato di cattura europeo contro il fondatore di Wikileaks, denunciato per stupro da due donne svedesi per fatti avvenuti nell'agosto 2010. Assange, allora a Londra, replica di aver avuto rapporti consenzienti con le accusatrici e si consegna alla polizia britannica il 7 dicembre. 

L'attivista è detenuto per nove giorni e in seguito gli vengono concessi prima i domiciliari e poi la libertà vigilata. Nel febbraio 2011 la procedura per l'estradizione in Svezia viene sottoposta a un tribunale londinese. L'australiano teme che dalla Svezia possa essere estradato negli Stati Uniti e lì condannato a morte. Il 19 giugno 2012 Assange decide di rifugiarsi nell'ambasciata ecuadoriana.

Assange chiede asilo politico all'allora presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, che glielo concede ad agosto. Correa chiede inoltre, senza successo, alle autorità britanniche che conceda un salvacondotto al suo ospite perché possa trasferirsi a Quito. In questo periodo l'attività di Assange non si ferma. Nel 2016 Wikileaks rivela come i dirigenti del Partito Democratico Usa avessero tramato contro il popolare candidato della sinistra, Bernie Sanders, perché Hillary Clinton vincesse le primarie.  

Il 2 aprile 2019 il nuovo presidente dell'Ecuador, Lenin Moreno, accusa Assange di aver violato le condizioni per l'asilo politico. L'11 aprile la polizia britannica ottiene il permesso di entrare nell'ambasciata per portare via Assange, che il giorno dopo viene privato della cittadinanza ecuadoriana che Correa gli aveva intanto concesso. La difesa delle donne che lo avevano accusato di stupro ottiene una riapertura dell'indagine, che era stato intanto archiviata.

Il 14 aprile 2019 la legale e compagna di Assange, Stella Morris, assicura che il suo cliente è disposto a cooperare con le autorità svedesi purché sia scongiurato il rischio di estradizione in Usa. Il 1° maggio l'australiano viene però condannato a 50 settimane di prigione da un tribunale di Londra per aver violato le condizioni della libertà vigilata rifugiandosi nell'ambasciata dell'Ecuador. Anche una volta scontata la condanna, Assange sarebbe rimasto in custodia nel penitenziario, in attesa del verdetto sull'estradizione.