Milano
Verzoletto a Pavia
Dal 18 maggio al 12 giugno alla Galleria al Naviglio di Onorino Pagani di Pavia in mostra le opere di Alberico Verzoletto
“May you live in interesting times”: è questo il tema della cinquantottesima Biennale di Venezia che ha aperto i battenti pochi giorni fa. Un auspicio consapevolmente ambiguo, quello del curatore Ralph Rugoff, perché originato da una maledizione attribuita alla tradizione cinese. I “tempi interessanti” sono infatti, in contrapposizione a quelli di pace e tranquillità, quelli del conflitto. Ed è anche naturalmente una sorta di “chiamata al fronte” rivolta agli artisti partecipanti, per un’edizione dell’esposizione particolarmente impegnata ed esposta civilmente e politicamente.
Perché ne parliamo per introdurre la nuova mostra dell’artista biellese Alberico Verzoletto, le cui opere saranno visitabili dal 18 maggio al 12 giugno a Pavia, alla Galleria al Naviglio di Onorino Pagani? L’invito ad una rappresentazione artistica con uno sguardo pienamente rivolto all’attualità, a ciò che è il fluire del proprio tempo e delle sue contingenze ci suggerisce alcune riflessioni. Esso è pienamente legittimo, sotto diversi aspetti anche auspicabile. Ma pare imporre una condizione: che anche il linguaggio parlato dalle opere stesse si presti alla medesima adesione al proprio tempo. Forma e sostanza debbono procedere di pari passo ed il gioco nel quale si impegnano è quello della massima evidenza e pregnanza right here right now.
Opere, installazioni, performance devono esercitare tutta la loro rilevanza ora, perché è nel panorama di tematiche e questioni che dominano il dibattito più vivo e attuale di oggi che esprimono la loro raison d'être. La domanda, che vuole essere provocatoria, è: cosa ne resterà domani, quando l’appiglio dell’attualità sarà magari meno saldo ed evidente? Il tema è quello ben noto della consunzione sempre più vorace di idee, progetti, cose, emozioni, relazioni che caratterizza il nostro tempo. Il rischio che evidenziamo è quello di affrontare l’ineluttabile e concreta realtà di tale gorgo che tutto risucchia e inabissa assecondandone e riproducendone le dinamiche più deteriori.
Sardegna - Costa del Sud, 1987
Verzoletto, dunque. Ovvero, l’esempio di un'altra possibile attitudine nei confronti del proprio tempo e di un altro modo di legare la propria arte ad esso. Non un confronto, si badi bene, per determinare strategie ed approcci più efficaci rispetto ad altri, giacché la grande liberazione dell’arte contemporanea consiste, nella sua essenza, soprattutto nell’aver voluto rinunciare a qualsiasi pretesa di progressione lineare a favore dell’accettazione di una multidimensionalità in cui ogni approccio può trovare una propria collocazione prospettica, coerente almeno in sé e per sé.
Paesaggio con vigna, 1988
Si osserva, quindi, la pittura ponderata del Maestro nato a Trivero nel 1935 e si riconosce la filigrana di un intelletto portato a non esaurire nell’osservazione dell’estemporaneità del quotidiano la propria indagine. I suoi paesaggi hanno solidità perché custodiscono una consapevolezza: quelle colline, i boschi, le anse dei fiumi, i casolari sotto al sole o alla luce immota della luna ci sono, sono stati e saranno. Non sono una invenzione dell’artista, un flash mob, una installazione pronta ad essere smantellata e sostituita da un’altra. Sono entità concrete che obbediscono a leggi più grandi. L’artista è certo ben conscio che, per quanto lento e impercettibile, il cambiamento è ineluttabile e quindi ciò che resta fissato su tela oggi non potrà che essere segno di quanto è stato osservato, concepito e modellato in quel dato momento, diverso da qualsiasi altro.
La piena del Sessera, 1988
Ma Verzoletto pare ricercare l’essenza più intima della realtà che lo circonda, i tratti che la definiscono invariabilmente – almeno nei tempi umani – e che ci fanno dire: è proprio quella riviera, sono proprio quei filari. Eppure, e qui sta l’ineffabilità di ciò che definiamo arte, nel raccontare quei paesaggi che il pittore ha più intimamente vissuto ed amato, avviene anche la trasformazione in qualcosa di altro. E tali luoghi assumono così anche connotati universali, liberati da qualsiasi temporalità. Così come, in una osmosi suggestiva quanto necessaria, sono le opere stesse dell’artista a divincolarsi dalle contingenze del proprio tempo, manifestandosi come rappresentazioni di cui riconosciamo una validità destinata a non venire meno nel volgere degli anni. Lo scotto, se così va considerato, per tale acquisita liberazione, è quello di rischiare di trovarsi in posizione defilata e tangenziale rispetto allo Zeitgeist del sistema artistico contemporaneo, più incline naturalmente a perseguire codici espressivi dettati dalle stagioni del momento.
E' quasi notte a Fosdinovo, 1989
Il linguaggio di Verzoletto decisamente spicca per questa sua diversità, non esibita né rivendicata, ma sostanziale. L’artista ha elaborato una propria personalissima interpretazione di certo post-impressionismo, soprattutto la lezione francese. Ma vi ha poi innestato una vocazione dolcemente trasognata, che dona ad ogni rappresentazione una patina immaginifica in un clima sospeso e pensoso. Che ritroviamo sia nei paesaggi del Biellese che in certe marine sarde. La luce è naturalmente elemento centrale e fondante nel determinare il ritmo interno del dipinto, i suoi riverberi ed umori. E questo è forse ancora più vero nei suggestivi notturni che ci consentono di condividere il palpito dello sguardo incantato dell’artista di fronte alla Natura in quiete, perfetta e dal respiro profondo.
Notturno, 1994
La vena espressionista di Verzoletto emerge più chiaramente in talune scelte coloristiche, con alberi e tetti di case incastonati in cieli veementemente violetti o di sontuosi e abbaglianti arancioni. Ancor più significativa in tal senso è la serie di dipinti che, come fossero ritratti, l’artista dedica ai castagni delle sue terre. I tronchi nodosi e forti, i rami secchi che si protendono verso il cielo, le radici che spezzano il terreno pulsano di una energia primigenia, sono apparizioni dotate di una forza antica che pare letteralmente voler straripare dai confini della tela.
Curino, 1996
Creature viventi, custodi forse nell’immaginario dell’artista del vero spirito del Biellese, piante che per secoli sono state autentico Albero della Vita per le popolazioni locali, che da esso traevano sostentamento e nutrimento negli implacabili e nevosi inverni. E’ questo il mondo che per oltre cinquanta anni Verzoletto ha vissuto e raccontato su tela. Solitario Maestro: e a dirlo sembra quasi un ossimoro. Ma solo così del resto il suo carattere schivo ha trovato una piena espressione che altrimenti, probabilmente non avrebbe potuto risultare così autentica e risuonare così chiaramente.
Pettinengo, 1997
Da sempre punto di riferimento nel Biellese, Verzoletto ci ha lasciato nel 2010 ma è da allora al centro di un processo di scoperta e rivalutazione da parte di una cerchia di appassionati ed esperti attenta e sempre più ampia. E assieme alle pubblicazioni che ne divulgano l’opera, costanti si stanno susseguendo anche le occasioni espositive in Italia. Offrendo così la possibilità di incontrare la proposta provocatoria e inedita di uno sguardo nuovo ed al contempo antico nei confronti della realtà. Una piccola sfida lanciata alle grandi inquietudini di questi nostri “tempi interessanti”.
Alberico Verzoletto in mostra
18 maggio-12 giugno 2019
Galleria al Naviglio di Onorino Pagani
Viale Bligny, 91 - Pavia