Politica

Che cosa c’è dietro le tensioni tra gli 007 e Palazzo Chigi: la sfida dell’intelligence economica

Lo scontro non deve essere interpretato esclusivamente come una disfunzione, ma come parte di una trasformazione necessaria per affrontare nuove sfide

di Raffaele Volpi

Intelligence, politica e istituzioni: verso una riforma del sistema di sicurezza nazionale?

Le recenti vicende che hanno coinvolto l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) e il capo di gabinetto della Presidente del Consiglio hanno riacceso il dibattito sul rapporto tra politica, intelligence e istituzioni. Tuttavia, è fondamentale inquadrare questi eventi non come semplici episodi di contrasto interno, ma come parte di un’attività complessa che ha come obiettivo principale la tutela dell’azione di governo da possibili tentativi di interferenze esterne.

Oggi, infatti, il contesto globale è caratterizzato da dinamiche sempre più articolate, in cui attori esterni che siano essi governi stranieri, multinazionali o gruppi organizzati cercano di influenzare le scelte strategiche dei Paesi. Questa realtà rende necessario non solo un maggiore coordinamento interno, ma anche una capacità di indirizzo strategico che consenta di affrontare le sfide con una visione chiara e condivisa.

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Un ruolo sempre più centrale in questo contesto è svolto dall’intelligence economica, che rappresenta una delle evoluzioni più significative del sistema di sicurezza nazionale. Non si tratta più soltanto di monitorare e prevenire minacce tradizionali come terrorismo o crimine organizzato, ma di proteggere gli asset strategici del Paese e le infrastrutture critiche, garantendo al contempo un vantaggio competitivo nel panorama globale. In un mondo sempre più interconnesso, dove gli equilibri economici si intrecciano con le dinamiche geopolitiche, l’intelligence economica si è affermata come una priorità per le agenzie di sicurezza.

In molti Paesi, questo settore è stato notevolmente rafforzato, diventando un pilastro della sicurezza nazionale e della politica estera. Anche in Italia si sta assistendo a una progressiva crescita dell’attenzione verso l’intelligence economica, che oggi si concentra su questioni come la protezione delle reti di approvvigionamento energetico, il controllo dei cavi sottomarini che trasportano dati vitali per l’economia globale e la tutela delle imprese strategiche nazionali da acquisizioni ostili o manipolazioni straniere. Questi ambiti, infatti, sono sempre più esposti a tentativi di infiltrazione da parte di attori esterni, interessati a destabilizzare o controllare settori fondamentali per il Paese.

Le vicende di questi giorni, dunque, si inseriscono in una dialettica naturale e necessaria tra istituzioni, dove la politica e l’intelligence devono collaborare, garantendo il controllo reciproco senza però pregiudicare l’efficienza operativa. Non si tratta di uno scontro interno, ma di una fase evolutiva in cui si stanno ridefinendo i ruoli e le competenze per rispondere a una realtà sempre più complessa. Anche gli apparenti attriti, se letti in questa chiave, non devono essere interpretati in modo negativo, ma come parte di un processo che mira a rafforzare la capacità dello Stato di proteggersi da influenze esterne e di agire con maggiore coerenza strategica.

L’attuale sistema di controllo sui servizi segreti italiani si articola su diversi livelli. La magistratura, ad esempio, gioca un ruolo essenziale nell’autorizzazione delle cosiddette garanzie funzionali, ovvero quelle attività che, pur non conformi alla legge ordinaria, sono indispensabili per la sicurezza nazionale. Successivamente, il controllo parlamentare attraverso il COPASIR (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) garantisce la trasparenza, valutando a posteriori le operazioni concluse. Tuttavia, questo approccio, per quanto necessario, presenta alcune limitazioni.

L’assenza di un indirizzo strategico preventivo e condiviso rischia di frammentare le attività di intelligence, lasciandole in balia di scelte operative non sempre coordinate con le priorità nazionali. Inoltre, la centralizzazione delle decisioni in poche figure apicali può portare a una scarsa integrazione tra le diverse componenti del sistema, riducendo la capacità di rispondere in modo unitario alle minacce. È per questo che sempre più analisti e osservatori sottolineano la necessità di una riforma che non solo rafforzi i meccanismi di controllo, ma introduca anche strumenti per orientare strategicamente le attività dei servizi segreti.

Un’ipotesi potrebbe essere l’istituzione di un Consiglio Nazionale per la Sicurezza, un organismo composto da rappresentanti istituzionali, esperti di settore e figure apicali dell’intelligence, che avrebbe il compito di valutare le situazioni strategiche e fornire un indirizzo chiaro sulle priorità nazionali. Questo consiglio non dovrebbe intervenire operativamente e influenzare politicamente le attività dei servizi, ma fungere da spazio di dialogo per garantire che le operazioni di intelligence siano coerenti con gli interessi generali del Paese.

Allo stesso tempo, occorre mantenere la distinzione tra i due principali servizi di intelligence: quello per la sicurezza interna, rappresentato dall’AISI, e quello per l’estero, ovvero l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna). Questa divisione è cruciale per garantire una maggiore specializzazione e per affrontare con efficacia i diversi tipi di minacce. Tuttavia, è altrettanto importante rafforzare il coordinamento tra i due servizi, in particolare con le nuove agenzie come quella per la cybersicurezza, l’intelligence militare e le forze di polizia. Un sistema integrato e ben coordinato, in cui le informazioni siano condivise in modo efficace tra tutti gli attori coinvolti, rappresenta la chiave per rispondere alle sfide globali senza sacrificare la rapidità e la precisione operativa.

Un altro elemento importante riguarda il ruolo del Parlamento. Oltre al controllo ex-post, potrebbe essere utile introdurre una fase di dialogo preventivo, in cui gli organi parlamentari possano indicare linee guida generali e condivise su temi di interesse strategico, come la sicurezza energetica, la tutela delle infrastrutture critiche e la lotta contro le interferenze esterne. Questo non significherebbe politicizzare le attività dei servizi, ma al contrario rafforzarne la legittimità attraverso una partecipazione istituzionale non vincolante, ma propositiva.

Infine, siamo certi che all’interno delle istituzioni e dei servizi ci sono uomini dello Stato che si impegnano quotidianamente per essere attuali in una sfida che, sia a livello locale che internazionale, sempre più geopolitica, ma anche legata a piccoli interessi o tentativi impropri di rappresentare nelle istituzioni interessi particolari. Questo rischio, che va costantemente monitorato e controllato, non deve mai oscurare la fiducia che riponiamo nelle persone che operano nel sistema di intelligence. Ogni giorno, con professionalità e dedizione, lavorano per garantire la sicurezza del Paese e affrontare una complessità sempre maggiore, in cui le minacce locali e globali si intrecciano inevitabilmente.

Le attuali vicende legate all’AISI e al capo di gabinetto, dunque, non devono essere interpretate esclusivamente come segni di conflitto o disfunzione, ma come parte di un processo di trasformazione necessario per adattare il sistema di sicurezza nazionale alle sfide del XXI secolo. Solo attraverso un maggiore coordinamento tra politica, intelligence e istituzioni sarà possibile garantire la tutela degli interessi strategici del Paese, coniugando trasparenza, efficienza operativa e capacità di risposta alle minacce globali.