Politica

Coronavirus: emergenza in Italia tra misure spot, speculazioni e sinofobia

Lorenzo Lamperti

"Virus Cina". C'è ancora chi utilizza questa formula per inquadrare il tema "coronavirus", o meglio Covid-19. "Virus Cina". Come a dire: qualcosa di esterno, di lontano, che si può provare a chiudere al di fuori del nostro spazio. Qualcosa da tenere fuori dai nostri confini. Confini possibilmente da sigillare. Chi, per mera apparenza fisica, può essere collegato alla seconda parola di questa formula e si trova dentro il nostro spazio (non importa da quanto: giorni, mesi, anni) rischia di finire isolato. Un corpo estraneo che, potendo, andrebbe espulso.

E allora chiudere. Per primi. Chiudere i collegamenti aerei con la Cina, ma anche con Hong Kong, Macao e Taiwan (che ora ha circa un terzo dei casi di contagio dell'Italia). E allora evitare. Evitare ristoranti, negozianti, magari anche conoscenti cinesi o semplicemente asiatici perché comunque non si sa mai. Primi in Europa a chiudere i collegamenti aerei con tutta la Cina, unici al mondo a chiudere quelli con Taipei. E ora, tristemente, primi per numero di contagi confermati al di fuori dell'Asia orientale.

Nonostante le "misure più drastiche d'Europa", il virus nato a Wuhan è arrivato. Anzi, era già qui. Non è bastata la mossa di lasciare a terra gli aerei, operata dal governo Conte bis a poche decine di minuti di distanza dai primi due casi confermati di contagio in Italia, quelli dei due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani (uno dei due, fortunatamente, ora guarito). Una mossa arrivata quando già milioni di persone erano uscite dalla provincia dello Hubei e da Wuhan, da dove ogni giorno sono arrivati voli per Fiumicino fino al 31 gennaio, e che oltre a contenere i rischi sanitari avrebbe dovuto (nell'ottica del governo) evitare speculazioni dell'opposizione che aveva già cominciato a richiedere la chiusura delle frontiere aeree.

I voli indiretti, invece, proseguono. Facendo scalo a Dubai, Mosca o in diverse altre città europee, si può comunque continuare a entrare e uscire dall'Italia, magari anche via treno. A tutti viene presa la temperatura, anche se in venti giorni il personale sanitario non ha riscontrato nemmeno un caso positivo. Ma Covid-19 ha un periodo di incubazione di circa due settimane. Difficile dunque pensare che i (costosi) controlli messi in piedi dal governo siano sufficienti per evitare l'ingresso di persone contagiate. 

L'opposizione continua a chiedere misure più stringenti, come la sospensione di Schengen, la chiusura dei porti e delle ferrovie. Parte di essa attacca la gestione del governo e chiede le dimissioni di Giuseppe Conte. Ed esprime preoccupazione per i "barconi" che potrebbero portare contagiati dall'Africa, dove il sistema sanitario non sarebbe in grado di fronteggiare l'emergenza sanitaria. 

Andando dietro alla forma e alle speculazioni, l'Italia sembra aver messo in secondo piano la sostanza: l'arrivo del virus, come sostenuto da un vasto numero di specialisti, era inevitabile. Perché era già qui. Una verità che palesatasi in maniera improvvisa e che ha scatenato il panico, favorito dalla consuetudine di privilegiare la reazione alla prevenzione.

Eppure, sarebbe bastato togliere la seconda parola da quella formula, quell'hashtag: "virus Cina". L'unico hashtag da utilizzare, anche a patto di ottenere meno clic (o meno punti percentuali nei sondaggi), sarebbe "responsabilità".