Politica

D’Alessandro: "Io fuori da Iv? Se la mia posizione sarà minoritaria..."

di Paola Alagia

Intervista di Affari al deputato di Italia viva: "Ho posto un problema politico. Va decisa la nostra collocazione. Per me il campo è il centrosinistra"

I contraccolpi del governo Draghi, dopo Pd e M5s, si fanno sentire pure dalle parti di Italia viva. Tant’è che si rincorrono voci di addii tra le fila del partito renziano per tornare al Nazareno. Affaritaliani.it ha contattato il deputato di Iv Camillo D’Alessandro, tra i parlamentari che i rumor danno in uscita. Intervistato dal nostro giornale, però, D’Alessandro, alla vigilia dell’assembla che il partito terrà domani, mette subito in chiaro: “Ho posto un problema politico. Se fare questo significa rientrare tra i ‘ sospettati’, pazienza. Non rinuncerò certo a fare politica”.  

D’Alessandro, quindi, non sono vere le voci che stanno circolando?
Io ho lanciato un’iniziativa politica che non si ferma. Perché il problema che si pone e che, a mio giudizio, deve essere risolto, è la grande questione della collocazione politica di una formazione come Italia viva. Non ci si può nascondere, infatti, dietro il tempo-Draghi, ma occorre dire con chiarezza cosa si vuole fare, anche rischiando, e con chi lo si vuole fare.

E lei come scioglierebbe questo nodo?
Per quanto mi riguarda, è indiscutibile che il campo in cui collocare il nostro cuore, prima di fare calcoli, sia il centrosinistra. Ancora di più oggi con le aperture di Enrico Letta.

A proposito, ha condiviso le parole del nuovo segretario Pd?
Sono state parole di consapevolezza e responsabilità visto il momento che vive il Pd, ma in generale tutta la politica. Poi, con Letta abbiamo la stessa formazione – dei popolari, della Margherita e quindi del Pd – e credo che abbiamo provato le stesse emozioni nel leggere e nell’ascoltare gli interventi di padri da Pantheon come Martinazzoli o Moro.

Torniamo al problema che ha sollevato. L’ha posto anche all’interno del suo partito?
Noi abbiamo modo di discutere e confrontarci nelle modalità consentite da questo ‘maledetto’ tempo, ma non sono mancate e non mancheranno le occasioni di confronto. Al momento posso dirle che mi pare siano emerse due linee: quella mia, di una chiara adesione ad un nuovo centrosinistra, ed un’altra, forse prevalente, di attendismo. Più di tattica e strategia.

Nel frattempo, però, Italia viva, in vista delle prossime amministrative e regionali, pare orientata a chiudere un accordo col centrodestra sia a Torino che in Calabria. Per lei sarebbe un problema?
Ignoro decisioni in tal senso. Sono componente della cabina di regia nazionale, che è l’organo politico di indirizzo, e posso dirle che non si è mai riunita sulla questione elezioni amministrative. Dopodiché, sono i territori che decidono. Ma è proprio questo il punto.

Cosa vuol dire?
E’ semplice: se appunto non decidiamo una linea nazionale il rischio è che poi si ritenga legittimo poter dar vita ad un impegno arlecchino. Un po’ di qua e un po’ di là.  Un tema che, sia chiaro, non vale solo per noi, ma vale anche per gli altri attori del centro liberale e riformista.

A chi si riferisce?
A Calenda, per esempio. Prima o poi si porrà pure per il leader di Azione lo stesso quesito. Ma il discorso riguarda lo stesso Pd: cosa farà per creare condizioni omogenee su tutto il territorio nazionale?

Lei, intanto, ha chiesto anche un congresso.
L’ho chiesto, ma Rosato mi ha risposto che è impossibile in ragione dell’emergenza Covid. Si tratta di un fatto oggettivo, ma la mia idea non era quella di un congresso per sostituire ed eleggere i nuovi vertici, bensì per scegliere la linea politica. Dunque, ritengo si possa trovare anche un’altra soluzione e per tale ragione parlerò domani in assemblea.

Che farà se dall’assemblea non dovesse ricevere le risposte che si aspetta?
Intanto, domani dovrò rendermi conto se sono io un marziano o se la mia preoccupazione rispetto alla collocazione politica è sentita anche da altri. Sarà molto importante quello che dirà Renzi.

Non ha risposto, però, alla domanda.
In democrazia vince sempre la maggioranza. Se ognuno facesse quello che vuole non sarebbe possibile nessuna formazione democratica. Accanto a questa regola basilare, tuttavia, c’è anche il patto di lealtà innanzitutto con me stesso. La mia battaglia, quindi, proseguirà. Anche laddove, infatti, si arrivasse a forme di aggregazione ulteriori che per primo auspico – penso ad Azione, Centro democratico, Più Europa, e altre iniziative al di fuori di questo perimetro -, in ogni caso questo problema non può essere nascosto sotto il tappeto. Bisogna scegliere il campo da gioco e bisogna farlo su tutto il territorio nazionale per essere davvero credibili. Insomma, il tempo-Draghi non deve essere una scusa, ma un’occasione. Come, del resto, sta accadendo nelle altre forze del centrosinistra. Sarebbe paradossale se così non fosse.

In che senso?
Il governo Draghi ha scosso il Pd portando a Letta e, quindi, a un nuovo equilibrio. Lo stesso è accaduto nel M5s. Dopo la scossa, anche il Movimento va con Conte verso un nuovo equilibrio. Paradossalmente, continuando a temporeggiare, ad essere danneggiata sarebbe proprio quella “comunità del coraggio”, in primis Italia viva, che ha permesso questo radicale cambiamento in Italia.

Quanto pesa sull’attendismo di Iv l’incognita legge elettorale?
Per i tattici pesa cento, per me pesa zero. In ogni caso, infatti, sia con la legge attuale e sia con un maggioritario puro si deve scegliere con chi stare. Ma anche con il proporzionale i cittadini ti votano se sanno cosa fai poi con quel voto in Parlamento. Ripeto: questo è il tempo del cuore e non della tattica.

E se la sua posizione, alla fine, fosse in minoranza?
Non credo che Italia viva andrà a destra. Basta ricordare come e quando è nata la nostra formazione politica: dopo che ha preso il via il governo Conte due, voluto da Renzi, e dentro quel perimetro.

Insisto: se non fosse così?
In tal caso, non sarei io a divorziare da Italia viva. Sarebbe Italia viva che divorzia da se stessa.