Politica
Draghi, che schiaffo dalla Camera: nessun parere sulla Legge di Bilancio!
La decisione annunciata da Marattin (IV), Presidente della Commissione Finanze. Dure proteste da tutta la maggioranza. Un segnale forte, verso il Quirinale
Clamorosa protesta in Commissione Finanze contro lo scarso tempo per discutere e votare: "Rispetto per le istituzioni"
Schiaffo a Mario Draghi, la maggioranza in Commissione Finanze non esprimerà un parere sulla legge di bilancio. La clamorosa decisione è arrivata per protesta, di fronte ai tempi ridottissimi che il Governo ha lasciato alla Parlamento per discutere il suo maxiemendamento. Dopo il sì del Senato, il testo è approdato alla Camera, dove però un'agenda decisamente continengentata ha lasciato solo tre ore in totale, per discutere e votare il più importante provvedimento dell'anno.
La protesta della eterogenea maggioranza che sostiene il Governo Draghi è stata ufficializzata da Luigi Marattin, che presiede la commissione Finanze della Camera: “Col sostegno di tutti i gruppi di maggioranza, la Commissione ha deliberato di non esprimere il proprio parere di competenza alla Commissione Bilancio sul disegno di legge di Bilancio 2022". Il deputato di Italia Viva spiega le motivazioni del gesto con parole davvero molto dure: “Il rispetto delle Istituzioni, e il rispetto verso il lavoro di sei mesi che questa stessa Commissione ha svolto nel 2021 per preparare il terreno alla riforma fiscale, ci impone di rispondere semplicemente 'no, grazie' quando ci si chiede di esprimerci in poche ore su un provvedimento del genere. Non è possibile rimanere anche solo un minuto in più - conclude - senza che le forze politiche si pongano il problema di riformare il funzionamento delle Istituzioni di questa Repubblica”.
Un messaggio chiaro al Premier: non può "tirare dritto" anche verso il Colle
Non è certo la prima volta che Mario Draghi viene criticato per il suo atteggiamento da “tiradritto”, come è stato soprannominato negli scorsi mesi, che talvolta fa sentire i parlamentari mortificati nelle loro funzioni di rappresentanti del popolo sovrano. Tuttavia, questo episodio assume un significato particolare alla vigilia dell'elezione del Presidente della Repubblica: qualora fosse servito un ulteriore segnale di quanto poco i partiti abbiano gradito l'autocandidatura del Premier, questo scontro aperto serve a sciogliere qualsiasi dubbio. Il messaggio è chiarissimo: quand'anche Draghi dovesse arrivare al Colle, per il quale rimane il favorito, lo farebbe grazie al voto di un Parlamento che, soprattutto con l'avvicinarsi delle elezioni, non gradisce più quella sorta di ruolo marginale al quale è stato relegato dalla difficile fase storica che il Paese sta attraversando.
“Nessuna fase emergenziale giustifica una tale compromissione dei tempi”, rincara la dose il capogruppo del Pd Ubaldo Pagano all'Ansa. Anche i Dem “rimarcano l'insoddisfazione” per quanto accaduto, pur non potendo rassegnarsi “all’idea che si possa giungere all’esercizio provvisorio, che sarebbe una catastrofe per l’Italia, per cui facciamo nostra una tempistica per mettere al sicuro i conti dello Stato”.
"Meglio l'esercizio provvisorio che distruggere il Parlamento"
Per Elio Vito, invece, è addirittura “meglio l’esercizio provvisorio che distruggere così il Parlamento”. Il deputato di Forza Italia annuncia la sua intenzione di chiamarsi fuori in Commissione Difesa da “questa farsa sulla legge di Bilancio, la più importante dell’anno, che la Camera esamina solo ora. Trenta minuti per gli emendamenti, appena due ore per votare”. Proteste analoghe si sono avvenute anche in Commissione Bilancio, da parte sia di esponenti di maggioranza (M5S) che di opposizione (FDI).
La resa dei conti era peraltro nell'aria. Il Governo ha inviato il ddl al Parlamento solo il 6 dicembre, ancora mancante di una decisione finale sulla ripartizione degli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse. Solo in seguito è arrivato l'accordo politico che, peraltro, ha scontentato le parti sociali, innescando lo sciopero generale della scorsa settimana. Da qui ne è conseguito un calendario serratissimo, con il testo da portare in aula martedi 28 e la questione di fiducia già prevista tra le 18.00 e le 19.00. Mercoledì 29 è invece previsto l'esame degli ordini del giorno e il voto finale, che dovrebbe partire alle 10.00 del mattino, dopo aver esaminato e valutato l'eventuale inammissibilità degli emendamenti già annunciati dall'opposizione.
Tra i partiti della maggioranza si sta invece cercando di allungare i tempi del voto fino alla fine della mattinata del 30 dicembre, così da portare entro sera il testo al Quirinale per la controfirma di Sergio Mattarella e infine pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre, come necessario per evitare il paventato esercizio provvisorio, conseguenza inevitabile della mancata approvazione della manovra. Un tour de force che i partiti hanno considerato veramente troppo frenetico, sopratutto per il compito principale affidato al Parlamento in questi momenti di profonda crisi politica e istituzionale. E, con il voto per il Quirinale alle porte, si è deciso di dare un segnale davvero inequivocabile a Draghi.