Politica
Draghi al Quirinale: Letta il più possibilista, ma anche nel Pd c'è freddezza
Nel coro di commenti molto freddi sull'autocandidatura del Premier si distingue il leader Dem, ma sia dentro che fuori il partito ci sono molte voci dissonanti
Perché Letta vedrebbe bene Draghi Presidente della Repubblica
Enrico Letta, segretario del Pd, è l'unica voce fuori da un coro che ha accolto in modo glaciale l'autocandidatura di Mario Draghi per il Quirinale. Il Presidente del Consiglio non è abituato a sentirsi dire di no, avvezzo com'è a folle plaudenti come quella dei colleghi che ne hanno accolto con entusiasmo fuori dal comune la conferenza stampa di fine anno. Tuttavia, in politica tutti ti amano finché risolvi problemi (e certamente il “nonno” lo sta facendo alla grande), ma le cose cambiano quando chiedi qualcosa per te. Esplicitate le sue ambizioni, Draghi ha ricevuto in cambio una freddezza che ha sorpreso lui per primo. Non è servito a molto nemmeno far capire ai leader di partito che in caso di mancato accordo sul Colle salterebbe anche il patto del Governo di unità nazionale che sin qui ha presieduto. E a quel punto si andrebbe tutti al voto, con il significativo problema di spiegarlo al numeroso drappello di parlamentari che certamente non verrebbero riconfermati.
Le posizioni nella coalizione di centrosinistra
Il più possibilista sulla “promozione” di Draghi è appunto Enrico Letta. Pur confidando ai suoi che l'operazione può essere conclusa solo in parallelo a un accordo che consenta di arrivare a fine legislatura (con un altro Premier), il segretario del Pd si schiera dalla parte di quello che ha definito “un civil servant”, accentuando il già netto carattere istituzionale che i Dem hanno assunto ormai da tempo. La sua posizione, tuttavia, non convince del tutto il resto del centrosinistra. LeU vorrebbe portare al Colle Giuliano Amato, molto vicino a Massimo D'Alema, mentre Giuseppe Conte è soprattutto perplesso sull'elezione di Draghi, reo non solo di averlo soppiantato a Palazzo Chigi, ma poi anche di aver trascurato il M5S nelle scelte sulla Rai e di aver espresso giudizi sprezzanti sul superbonus al 100%, che il Movimento ritiene invece un provvedimento importante. L'unica certezza inossidabile sul fronte progressista al momento è che bisogna in tutti i modi ostacolare l'ascesa al Quirinale di Silvio Berlusconi, che invece continua ad aggiungere tasselli a quella che fino a poco fa sembrava una mera utopia.
Le voci dissonanti all'interno del Pd
Non sarà semplice per Letta trovare la quadra, anche perché persino nelle correnti interne al Pd ci sono voci dissenzienti. Base Riformista (gli ex renziani, guidati da Lorenzo Guerini e Luca Lotti) spingono perché Draghi resti a Palazzo Chigi e lo stesso si dice dalle parti di AreaDem, anche perché il suo leader Dario Franceschini non ha ancora riposto nel cassetto le proprie ambizioni sul Quirinale in maniera definitiva. Per questo motivo, è già stato convocato per il 13 gennaio un doppio summit che vedrà Letta a confronto con i gruppi parlamentari e la direzione del partito, con lo scopo di trovare una posizione univoca sull'elezione del Presidente della Repubblica.
La strana coppia Letta-Meloni
Camminando sul filo di un precario equilibrio, il segretario Dem si sta giocando la carta di un'interlocuzione con Giorgia Meloni che ha sorpreso (negativamente) diversi esponenti ed elettori Pd, ma che tuttavia si inserisce in questo intricato scenario. Già la scelta di prendere parte alla rassegna di Atreju aveva suscitato perplessità e, dopo le esternazioni non particolarmente cordiali della leader FDI sui suoi rapporti con Emmanuel Macron, Letta ha concesso due bis partecipando con lei alla presentazione di due libri, quelli di Bruno Vespa e di Pietrangelo Buttafuoco. Pur non entusiasti di questa stranissima frequentazione, insider del Pd la spiegano come il tentativo di spezzare l'asse del centrodestra, che per la prima volta avrebbe i numeri per decidere l'elezione del Presidente della Repubblica. Una partita difficile, ma soprattutto rischiosa, perché Meloni è l'unica che vorrebbe andare al voto subito. E c'è chi dice che, con Draghi al Quirinale e un suo sostituto a guidare al governo per l'ultimo anno di governo, il consenso di FDI crescerebbe in maniera esponenziale, consegnando a Meloni una vittoria scontata nelle elezioni del 2023.
I timori su manovra e governo
Divide et impera: da qui anche il canale aperto con Matteo Salvini – cosa peraltro un po' meno disruptive – anch'esso finalizzato a togliere da sotto i piedi di Berlusconi quel sostegno che ridurrebbe il centrosinistra a fare da spettatore nella partita per il Colle. Per questo motivo, la forte presa di posizione di Draghi rappresenta una sorta di assist per Letta, che trovando una convergenza sull'ex Presidente della BCE riporterebbe il Pd al centro di questa sfida. Se non con un ruolo da autentico king maker, almeno con quello di attore protagonista. Tuttavia, le reazioni sia interne che esterne al Nazareno fanno ben capire come la strada sia in salita e anche per questo Letta ha dato ai suoi la consegna del silenzio, almeno fino all'approvazione definitiva della manovra economica. Poi dalle porte della politica gli spifferi escono lo stesso, ma questo è un ulteriore segnale del fatto che si teme davvero che il banco possa saltare del tutto, aggiungendo al punto interrogativo sul Quirinale quello sulla tenuta del governo.
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