Politica
Elezioni Emilia Romagna, “allarme rosso” per il rischio tsunami con onda verde
Di Massimo Falcioni
La partita che si sta giocando in Emilia Romagna è marcatamente politica. Domenica 26 gennaio il voto sarà politico, le ripercussioni saranno politiche. Chi esce sconfitto alle urne, paga. Anche a livello nazionale, nell’immediato e nel medio-lungo periodo. Se il Partito democratico perde anche un sol voto a Bologna e a Modena, non recupera al nord a Piacenza e Parma e in Romagna fra Rimini e Forlì, addio regione baluardo della sinistra. Alla sinistra emiliana restano supponenza e prosopopea ma gli si sono ristretti i panni.
La regione si sta spostando a destra. Alle ultime europee la Lega è diventata primo partito in 252 comuni contro i 76 del Pd. Alle politiche del 2013 il Pd era in vetta con oltre 15 punti sul M5S, 20 punti davanti al centrodestra. E il 4 marzo 2018 c’è stato il sorpasso storico del centrodestra al 33% dei voti sul centrosinistra al 31% con il M5S al 27,5%. Infine la batosta alle Europee di maggio 2019 con Lega, FI, Fratelli d’Italia al 44,4% con Pd, +Europa, Europa verde e La sinistra sotto il 40% (39,6%). Osservando una cartina a colori del potere, si vede bene che il rosso si è ristretto e accorciato e il verde (o blu) si è allungato e allargato. Pd e sinistra hanno fin qui retto a Bologna (ko a Imola) e a Modena (ko a Sassuolo) e lungo la via Emilia, pur se sempre più corta, mentre il centrodestra è dilagato nelle aree interne e nelle costellazioni dei comuni degli Appennini ma anche nelle città del nord emiliano e in Romagna, fin sulla costa. Le Regionali non sono elezioni nazionali ma tra le amministrative sono quelle meno locali e più politiche, specie in questo contesto di smarrimento politico e con un governo che regge solo in funzione anti-Salvini e grazie alle qualità del premier Conte ma vive alla giornata caratterizzato dal “salvo intese”, sostenuto dai traballanti Pd e M5S, fino a poco più di un anno fa nemici giurati, ritenuti incompatibili sul piano politico e ideologico.
Anche in Emilia-Romagna la formidabile macchina di potere e organizzativa del Pci resta solo negli “Amarcord” dei vecchi compagni. Ma al Pd non mancano le riserve con i mille tentacoli, specie negli apparati istituzionali, tutti mobilitati per raschiare il barile con il voto del ceto medio, piccoli e medi imprenditori, dipendenti pubblici, pensionati, e spremendo come un limone il sistema Coop, vera e propria linea Maginot per fermare lo tsunami leghista. Sono finiti i tempi in cui Togliatti e Berlinguer idealizzavano la “via emiliana” al socialismo, pur se la regione resta fra quelle meglio governate. Non è un’isola felice e anche qui i nodi stringono, la qualità della vita è scesa, sono salite disuguaglianze e timori di ogni tipo, anche rispetto al lavoro e alla sicurezza quotidiana. C’è preoccupazione per il futuro, soprattutto per figli e nipoti. Anche qui, a pagare sono sempre gli stessi. Anche qui la gente è stufa, non crede più alle promesse, si allontana dalla politica, vota contro chi governa, si astiene dalle urne.
La partita di domenica 26 gennaio, solo apparentemente è fra i due candidati Bonaccini e Bergonzoni. In fondo, non è neppure l’esame sul governo della sinistra in Emilia Romagna. A pensare male, come noto, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. E ha ragione l’ex direttore de l’Unità Peppino Caldarola: “Se la Borgonzoni dovesse vincere l’unica analisi del voto ci porterebbe alla tesi che ormai la sinistra sta sulle palle a tutti”. Già. E non solo nell’ex paradiso rosso emiliano. E sarà forse il caso di chiedersi perché, non limitandosi a credere che l’annuncio dell’ennesimo nuovo partito (“partito nuovo”, dice Zingaretti) sia la panacea alla crisi del Pd e della sinistra.Così, con questo andazzo, una sconfitta della sinistra in Emilia o quanto meno un suo ulteriore ridimensionamento, diventa possibile. Sarebbe un segnale inequivocabile dell’aria che tira facendo capire chi l’elettore vuole premiare e chi punire. Di qui l’allerta rossa, un vero e proprio allarme per l’incombente onda verde capace di trasformarsi in uno tsunami che, tant’è ne dicano Zingaretti e Di Maio e lo stesso Conte, potrebbe spazzar via anche il governo.