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Governo, FdI assicura: "Meloni fa la sintesi". Il piano della premier: Ue, Trump, elezioni... Così tiene unito il Cdx

Veneto alla Lega, Milano a FI e moderati. A Bruxelles... Inside

Di Alberto Maggi

Lite Forza Italia-Lega sull'Europa, parla Speranzon

"Giorgia Meloni trova sempre la sintesi perché persegue gli interessi nazionali e non di una parte politica". Con queste parole Raffaele Speranzon, vice-capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato, risponde alla domanda di Affaritaliani.it, sulle rinnovate divisioni nel Centrodestra tra Lega e Forza Italia sulla politica estera e se, in particolare sul piano di riarmo della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ci sia il rischio di una crisi di governo.

Alla domanda se Antonio Tajani e Matteo Salvini, e in generale Forza Italia e la Lega, debbano abbassare i toni, Speranzon risponde: "Ma no... Rendono vivace il dibattito nel Centrodestra sui temi che non erano stati affrontati nel programma elettorale di governo sul quale invece c’è perfetta concordanza. Poi comunque la sintesi la fa sempre, con la sua enorme autorevolezza, il Presidente del Consiglio".

RETROSCENA - COSI' MELONI TROVERA' LA SINTESI NELLA MAGGIORANZA

Forza Italia con il portavoce nazionale Raffaele Nevi e Fratelli d'Italia con il vice-capogruppo al Senato Raffaele Speranzon assicurano che non ci sarà alcuna crisi di governo sulla politica estera e che Giorgia Meloni riuscirà a fare la sintesi. Ma come troverà la quadra la premier? Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it da fonti ai massimi livelli della maggioranza - tutti i partiti che la compongono - i livelli sui quali lavorerà la presidente del Consiglio (sempre ben consigliata dalla sorella Arianna Meloni) sono sostanzialmente due.

Il primo a livello europeo dove Meloni cercherà di smussare il piano di Ursula von der Leyen - e in questo trova anche una sponda in parte delle opposizioni - giocando soprattutto  sul fatto che si tratti di un piano facoltativo ovvero nessuna imposizione da Bruxelles e ogni stato sarà libero di investire più o meno nella difesa e non nel riarmo, come ha sottolineato nei giorni scorsi il ministro Guido Crosetto nel tentativo di riportare serenità nel governo. Quindi l'Italia alla fine non farà certo grandi investimenti, ma solamente qualche ritocco alla spesa con l'obiettivo di arrivare al 2% del Pil per la spesa militare.

Ma nessun progetto in pompa magna come quello della Francia o della Germania o, anche se fuori dall'Unione europea, del Regno Unito. Non solo, a Palazzo Chigi sono anche convinti che dopo il congresso di sabato e domenica a Firenze il vicepremier Matteo Salvini abbasserà i toni che ora sta tenendo alti per galvanizzare la base del Carroccio. E poi ovviamente c'è anche il rapporto privilegiato che Meloni ha con Donald Trump, unica della Ue invitata all'inaugurazione a gennaio a Washington e questo favorirà il nostro Paese nel ruolo di ponte tra Usa e Vecchio Continente soprattutto nella complessa trattativa sui dazi che scattano domani, martedì 2 aprile, più che sulla difesa e il riarmo.

Quindi von der Leyen non chiederà troppo all'Italia sapendo che la premier le "serve" per tentare di addolcire la posizione del tycoon. E investimenti soft e non massicci in difesa potrebbero anche essere ben visti dalla Russia, dopo i durissimi attacchi di Mosca al Presidente Sergio Mattarella, e questo elemento in ottica di un eventuale ritorno a rapporti diplomatici normali (o quasi) in caso di tregua e pace in Ucraina è una carta da non sottovalutare.

Poi c'è la partita a Roma che è quella soprattutto delle prossime elezioni regionali e amministrative. Nonostante Fratelli d'Italia abbia ottenuto in Veneto la percentuale più alta d'Italia, la regione guidata ora da Luca Zaia - che non potrà ricandidarsi per il vincolo del doppio mandato - resterà al 99% alla Lega con Zaia avrà una sua lista e continuerà a influenzare la politica regionale soprattutto in attesa dell'ok finale all'autonomia. Meloni sa perfettamente che Salvini cede e lascia il Veneto a FdI o a Forza Italia la Liga, come ancora si chiamano i leghisti veneti, sono pronti ad esplodere mettendo a rischio la tenuta non solo del partito ma della stessa maggioranza di Centrodestra anche in Parlamento.

Quindi la premier, obtorto collo, lascerà la regione Venete a un candidato leghista che vincerà a mani basse (visti i sondaggi). Probabilmente sarà un fedelissimo di Zaia, ma questa è una partita interna alla Lega. Gli azzurri di Antonio Tajani, ma anche Noi Moderati di Maurizio Lupi e ovviamente Fratelli d'Italia avranno delle compensazioni non solo ottenendo candidati in tutte le altre regioni che andranno al voto ma anche sulle elezioni comunali. Ad esempio a Milano, dicono fonti ben informate, la scelta ricadrà certamente su una figura moderata o comunque indicata da Forza Italia e Lupi (non è escluso che possa essere lo stesso Lupi). Insomma, pesi e contrappesi, dialogo certosino in Europa e con Trump e trattative con il manuale Cencelli a Roma per, come dicono in coro dal Centrodestra, trovare la sintesi. Questo farà Meloni.

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