Politica

Governo Ursula se Draghi va al Colle. Gli scenari che agitano i Palazzi

di Paola Alagia

Ma con o senza voto anticipato tutte le strade portano all’ex numero uno della Bce

Un governo Draghi anche dopo il 2023? Una domanda secca rivolta dal Corriere della Sera a Renato Brunetta e alla quale il ministro per la Pa ha risposto in maniera altrettanto netta: “E perché no?”. Sono in molti come lui, in realtà, a sperare in uno scenario del genere che, però, non tiene conto della variabile elezioni al Quirinale e quindi che la poltrona del Colle più alto possa essere destinata proprio all’ex presidente della Bce. Il motivo è semplice: non mollare la presa sul Recovery plan che significa progetti, ingenti finanziamenti e soprattutto riforme epocali da fare e da gestire. A tifare per questa soluzione, in realtà, c’è poi tutto – o quasi - l’arco parlamentare, sempre restio a considerare la possibilità di voto anticipato. Ma se invece Draghi, con buona pace delle aspirazioni di tanti, a cominciare da Dario Franceschini, fosse il predestinato successore di Mattarella?
Gli scenari che si aprirebbero sono almeno due. La prima ipotesi in campo potrebbe essere un altro governo del presidente, proprio sulle orme di quello voluto da Sergio Mattarella. Solo che a indicare la personalità che dovrebbe guidarlo stavolta sarebbe Draghi stesso. Anche per poter continuare a seguire da vicino la decisiva partita del Recovery, sulla quale il premier ha messo la faccia a Bruxelles. Difficile, però, che in un esecutivo di questo tipo - tra l’altro della durata di un solo anno (prima dello scioglimento naturale della legislatura) – la Lega, che già scalpita adesso, potrebbe starci. In nome di Draghi infatti, il Carroccio, pur con tutte le difficoltà del caso, combattuto tra partito di lotta e di governo, sta resistendo alle sirene meloniane. Ma dopo?

A meno che super Mario non riesca a tirare fuori un nome tale da riuscire a convincere i leghisti, è più facile che il fronte “sovranista” si rinsaldi all’opposizione. Ed ecco che, quindi, l’unica exit strategy sarebbe una maggioranza Ursula. Con il centrosinistra e Forza Italia dentro (visto che il M5s è già alle prese con una maggioranza insieme agli azzurri), ma pure con quel polo centrista ancora in nuce, da +Europa ad Azione di Carlo Calenda, che già ai tempi del fallimentare tentativo di dar vita al Conte ter insisteva su questa strada. Questo è dunque lo scenario più facilmente prevedibile ad oggi. Tuttavia, se è vero che in politica vale il detto “mai dire mai”, l’anno prossimo potremmo anche ritrovarci, per la gioia di Fratelli d’Italia, di fronte ad uno scioglimento anticipato delle Camere. Allora sì che, quanto sostiene Brunetta potrebbe verificarsi. Se Draghi non salirà al Colle, infatti, andando al voto con l’attuale legge elettorale, è altamente probabile che ci si troverà di nuovo in una condizione di stallo.

Senza nessuna forza in grado di esprimere un primo ministro e con il fiato sul collo di Bruxelles che vigilerà sul rispetto delle scadenze di attuazione del Pnrr, la carta dell’ex numero uno della Bce potrebbe essere di nuovo l’unica in campo. Non è una ipotesi peregrina: la riforma della legge elettorale si è impantanata in Parlamento. Dopo il via libera al testo base di impianto proporzionale in commissione Affari costituzionali non sono stati più fatti passi avanti. Casomai qualcuno indietro, visto il pressing del Pd a guida Enrico Letta per una legge di impianto completamente opposto e cioè maggioritaria. Da un lato, quindi, c’è la variabile legge elettorale e l’alta probabilità che si torni al voto col Rosatellum. Ma dall’altro c’è la condizione di salute dei partiti.

Il centrodestra, tanto per cominciare, solo sulla carta avrebbe i numeri. La sua compattezza, infatti, non è più così granitica. Con Lega e Fratelli d’Italia che si azzuffano di continuo e continueranno a farlo, pescando nello stesso bacino elettorale. E con Forza Italia che dialoga con il Pd, trovando tra l’altro sponda in casa dem. Il segretario Letta non esclude affatto alleanze future con FI e lo ha spiegato espressamente nei giorni scorsi ospite di una trasmissione tv: “In Europa siamo alleati e in Consiglio dei ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini sono quelli che vanno d'accordo con i nostri ministri, fanno le cose insieme senza problemi", ha detto. Se il centrodestra, dunque, è tutto tranne che unito – e l’intesa ancora lontana sui candidati per le amministrative ne costituisce la prova -, nel centrosinistra non va meglio. Difficile, infatti, nonostante la riorganizzazione in capo a Giuseppe Conte, che il Movimento cinque stelle riesca a raggiunge gli stessi risultati delle scorse politiche. Ecco perché, insomma, alla fine quasi tutte le strade, guardando il quadro attuale, sembrano portare di nuovo a Mario Draghi.