Politica
Il governo Draghi non ha più senso dopo il voto di domenica
Con Meloni che dà le carte addio autonomia per Veneto e Lombardia
Amministrative e Referendum sulla giustizia: analisi del voto
Analizzare percentuali nel voto amministrativo, comparandole a livello nazionale, è sempre stata un’impresa mal riuscita. Ci limitiamo dunque a quelle analisi che offrono un senso politico concreto al voto di domenica, tanto a livello referendario quanto su scala di elezioni amministrative.
Referendum
Il voto referendario sulla giustizia segna la morte della democrazia diretta, per lo meno nella forma concessa dalla Costituzione. Uno strumento, quello del referendum abrogativo, che non funziona più. I segnali erano già evidenti da inizio secolo, ma ora c’è la certificazione col minimo storico di partecipazione popolare (20,8%). Le responsabilità sono anche dei promotori, che si sono svegliati una quindicina di giorni prima del voto, troppo poco per raggiungere il quorum. Media e Istituzioni hanno fatto il resto: la Tv pubblica, pagata coi soldi degli italiani, è stata la grande assente, mentre lo stesso Presidente della Repubblica – smentendo ciò che diceva fino a qualche anno fa – ha sottolineato che il voto è un diritto e non un dovere. Insomma, un cappio al collo dei referendum sulla giustizia.
Di fatto ha retto l’accordo di sistema tra una parte della magistratura e una parte della politica che di quella magistratura ne è la protettrice, avvantaggiandosene dell’operato politico. Parafrasando Vercingetorige, casta forte ha battuto casta debole. Per rilanciare i referendum occorrerebbe una revisione costituzionale che abolisca il quorum. Campa cavallo. Il dato di fatto però è che degli oltre dieci milioni di voti espressi nella consultazione referendaria, il Sì all’abrogazione ha prevalso per tutti e cinque i quesiti. Troppo poco per il quorum, ma un segnale politico al Parlamento, che ora dovrà portare a termine la riforma Cartabia approvata alla Camera e ferma in Senato. Pannicelli caldi, nulla di che, ma quantomeno un primo passo per tenere a freno le correnti e dunque la magistratura politicizzata. Cambierà ben poco, ma visto che il referendum non è passato è inutile pensare – in questa fase storica - di poter fare di più.
Amministrative
Anche qui l’affluenza è stata bassa, col 46% degli elettori rimasti a casa o al mare. Un altro record negativo alla voce partecipazione al voto. Sta di fatto che, in controtendenza rispetto alle ultime amministrative dell’ottobre 2021, il centrodestra questa volta è in vantaggio sul centrosinistra, come dimostra ad esempio l’elezione dei sindaci già al primo turno in comuni capoluogo di Regione come Genova, L’Aquila e Palermo, oltre che il ballottaggio al fotofinish in comuni come Monza e Sesto San Giovanni, coi candidati di centrodestra in netto vantaggio. Non paga l’alleanza Pd-M5S, risultata decisiva solo a Padova, Taranto e Lodi, del tutto dannosa invece in altri comuni, anche del Centro-Sud.
Il Pd ha inghiottito il M5S, ridotto ormai ai minimi storici. Lì dove Dem e pentastellati sono andati a braccetto, Italia Viva e Azione hanno corso fuori dalla coalizione, determinando la sconfitta dell’accordo tra Letta e Conte. Il secondo turno rappresenta una partita nuova dove si parte da zero a zero, ma tutto lascia pensare che Partito democratico e Movimento non faranno scintille. Emblematica la vittoria del centrodestra in comuni del Sud Italia dove il reddito di cittadinanza la fa da padrona, si pensi a Palermo in Sicilia e Catanzaro in Calabria, dove l’alleanza Pd-M5S è stata sonoramente bocciata. Ai punti, queste amministrative – che hanno interessato 978 comuni e 9 milioni di elettori (votanti effettivi quasi 5 milioni) - si chiudono col centrodestra al 46,2% e il centrosinistra (compreso il M5S) al 44,3%.