Politica

Il governo Draghi non ha più senso dopo il voto di domenica

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

Con Meloni che dà le carte addio autonomia per Veneto e Lombardia

I partiti

Rispetto a cinque anni fa la Lega ha subito un duro colpo. Prendiamo ad esempio quattro comuni significativi: Genova, Sesto San Giovanni, Monza e Lodi. Nel capoluogo ligure il Carroccio scende dal 12,95% al 6,8%, a Sesto dall’8,11% al 6,2%, a Monza dal 14,21% all’8% e a Lodi dal 14,22% al 9,4%. Cresce a L’Aquila dal 6,76% al 12,5%, ma in generale perde un po’ dappertutto, attestandosi al 6,3% su base nazionale, anche se le liste civiche di centrodestra hanno drenato ai partiti ben il 25% dei voti; dunque, è ragionevole pensare che il Carroccio sia di poco sotto al risultato delle politiche 2018. Scompare il M5S, che, come massimo consenso, non va oltre il 7,2% a Palermo (cinque anni fa era al 13,1%), crolla a Genova (dal 18,4% del 2017 al 4,5% di domenica) e scompare a L’Aquila (dal 3,9% al 0,7%). Primo partito nazionale il Pd, col 19,3% dei voti, secondo Fratelli d’Italia col 10,4%, anche se – a onor del vero – le liste civiche di centrosinistra hanno drenato appena il 16,8%, quindi è ragionevole pensare che i partiti di Letta e Meloni se la giochino alla pari. Forza Italia in lieve calo ma non cede, mentre Italia Viva e Azione hanno ottenuto un buon risultato solo in alcuni comuni.

Il significato politico

Referendum e amministrative ci dicono in sostanza che i partiti di governo, a parte il Pd, sono tutti in grande affanno, in primis Lega e M5S, coi pentastellati ridotti al lumicino. Se i Dem resistono ma non sfondano, Salvini paga ciò che il governo Draghi ha fatto tra super green pass e obbligo vaccinale da novembre a marzo, mentre il MoVimento sconta la totale insipienza dei suoi ministri e del suo leader, completamente ininfluenti nelle scelte di Draghi e compagni. L’economia è a pezzi, i prezzi aumentano, il lavoro scarseggia, la guerra incombe, le bollette alle stelle e ad ottobre lo spettro di un’altra ondata pandemica e vaccinale, con ennesima repressione governativa. È la crisi dei partiti, che se nel 1993 trovò foce nella stagione gloriosa dei referendum di Mariotto Segni oggi si rifugia nell’astensionismo. Se nel 93 i partiti scomparvero, sostituiti da altri, oggi sono fantasmi che camminano: a sparire questa volta è l’elettorato. Il fronte del dissenso ottiene qualche modesto risultato come a Genova con Crucioli. Ma la frammentazione di questo fronte diviso in tanti partitini non servirà a creare una consistente opposizione e catturare l’interesse degli elettori che si sono astenuti dal voto. Ci vorrebbe una nuova “intelligenza collettiva” e non un pulviscolo di partitini che mira solo ad occupare un posto in parlamento.

Conclusioni

La pandemia è alle spalle (almeno per ora) e dunque il governo istituzionale – nato sedici mesi fa per far fronte all’emergenza pandemica e alla campagna vaccinale - non ha più ragione di esistere. Certo, incombe la guerra, così come lo spauracchio dello spread, ma Salvini può continuare a stare al governo col Pd se poi alla fine Draghi fa sempre ciò che gli pare accontentando Letta e scontentando il leader del Carroccio? Siamo in emergenza, si dirà, quindi Salvini sia responsabile e non metta in pericolo il governo. D’accordo, ma il rischio è che Salvini perda ulteriori consensi. Nella migliore delle ipotesi vincerà alle politiche il centro destra, ma sarà Meloni a dare le carte. E a quel punto addio autonomia per Veneto e Lombardia…   

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